venerdì 14 ottobre 2011

Così Melloni risponde alla Bella Addormenta di Gnocchi e Palmaro. Con molto nervosismo



Sul Corriere fiorentino di oggi 14 ottobre 2011, p. 12.
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Con argomenti, che sono piuttosto insulti, Melloni prova a screditare il contributo critico sul Vaticano II. Pensava che il Concilio fosse un fortilizio della Scuola di Bologna. Che la stessa Officina ne avesse il copyright per dettarne l'ermeneutica o piuttosto la pre-comprensione. Invece, grazie al Magistero, nasce un movimento di orientamento diverso, fedele alla Chiesa, integralmente, senza cesure tra il primo millennio e il secondo, relegando i grandi concili di quest'ultimo periodo, semplicemente e arbitrariamente nell'ambito dei concili generali e non ecumenici. Il Vaticano II non era capace di riprendere (solo) la tradizione del primo millennio. La Chiesa aveva conosciuto uno sviluppo del dogma attraversandone anche il secondo, fino a giungere al Vaticano II. La Tradizione della Chiesa è uno sviluppo ininterrotto da Cristo fino a noi. Non si è fermata ad un determinato tempo. Nè ci si può innamorare solo di un determinato tempo. Quando il Concilio è sganciato da questa visione storicista perde la sua enfasi di nuovo inizio del cattolicesimo. Ecco la preoccupazione e il nervosismo, che trapelano da queste righe. Scivolando in un mero j'accuse. Cosa? La propria ricostruzione storica di un evento?

In attesa del risveglio della Bella Addormentata. Per un vero Vaticano II


Un altro contributo sul Vaticano II, non tanto elogiativo del mito trionfalistico che ha accompagnato questi cinquant’anni di ricezione conciliare, piuttosto di critica intelligente documentata e divulgativa, è venuto da poco alla luce: ha un titolo stimolante, La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà, frutto di un lavoro esimio di due firme del cattolicesimo battagliero e non allineato a quegli stereotipi “da sacrestia”, A. Gnocchi e M. Palmaro. La Chiesa di quei “formidabili anni” è descritta come la Bella, perché sempre l’Immacolata Sposa di Cristo, ma addormentata, proprio come la fiaba. Qui il sonno è metafora di una crisi molto profonda, di cui parlava di recente e nuovamente il S. Padre in Germania, una crisi di fede, una crisi dell’identità cattolica. Cosa è successo nella Chiesa cattolica? Da dove ha preso corpo quell’ondata limacciosa di ottimistica quanto presuntuosa baldanza della novità, un modo sciocco eppure riaffermato di credersi nuovi e sempre al passo con i tempi, perché finalmente emancipati da un prima ecclesiale ed ecclesiastico insopportabile: una Chiesa, una liturgia, un predicazione non più tollerabili. Bisognava essere moderni. Purtroppo quei tempi moderni si rivelarono presto già superati dopo qualche anno, mentre alcuni tenacemente si affaticavano a rincorrerli. Il tutto come in grande sonno. O forse il sogno di vedere all’orizzonte la realizzazione di una Chiesa che non c’era, né poteva esserci. Si intrufolarono in questa compagine dell’ottimismo tante ideologie: una Chiesa dei poveri, una teologia della politica, una teologia della liberazione. Tanti cristiani, tanti uomini erano privati della libertà sotto l’egida disumana del comunismo, mentre uomini di Chiesa si intrattenevano sul come raggirare gli ostacoli per ammettere gli osservatori ortodossi al Concilio. Non si parlò punto del comunismo. Ecco come si fece. Eppure il Concilio si era prefisso di essere pastorale. Si gridava invece al cambiamento. A differenza del ribaltamento culturale ideologico, quello ecclesiastico aveva un “marchio”, d’autore: il Concilio Vaticano II. In nome di esso, abusandone, si volle re-iniziare ad esser cattolici.

Una cosa però sorprese gli uditori attenti: nel discorso inaugurale del B. Giovanni XXIII, Gaudet mater ecclesia, si intravedeva un nemico, che non era fuori, era in casa: i “profeti di sventura”, ovvero non il neo-modernismo, il materialismo scientifico, l’ateismo, i nuovi errori teologici, ma quelli che si industriavano a mettere il bastone tra le ruote al carro della felicità, che doveva partire speditamente. Purtroppo la sventura c’è stata, ma si è originata ahimè non dentro ma fuori, ed è penetrata come fumo all’interno: il mondo, dirà pentito J. Maritain, era entrato nella Chiesa, quel mondo che la Chiesa voleva incontrare ad ogni costo.

Non si tratta, comunque, di fare un’inquisizione al Vaticano II, che resta un concilio ecumenico della Chiesa cattolica, ma di collocarlo al suo giusto posto. Quel posto che il Concilio scelse: un ambito pastorale e non dogmatico-definitorio; un Concilio che non riassume l’intera Tradizione della Chiesa; un Concilio che non è la Chiesa, né è al di sopra di essa; un Concilio che resta tale e non può trasformarsi in un discrimine per appurare il grado di fede cattolica di un credente. Non era mai successo nella storia della Chiesa che un concilio determinasse l’essere cattolici. Era piuttosto l’inverso. Un cattolico non può non essere fedele e ossequioso al Vaticano II, ma non può neppure “credere” nel Vaticano II, come si trattasse di un dogma. Il Vaticano II non fu un “evento epocale”, che cambiò le sorti della Chiesa. O meglio, a guardare questi anni, sembra che lo fu, ma Gnocchi e Palmaro vogliono invece dire che il Vaticano II, come ogni altro concilio, non poteva esserlo, né deve esserlo. Essere cattolici implica la totalità della fede, così come ricevuta.

Una peculiarità di questo libro, appassionante anche per quel bell’italiano che fa scorrere le pagine, è l’analisi interessante della genesi del mito “Vaticano II”. La Chiesa pensò di affidare il suo Concilio ai mezzi di comunicazione. Tutto (o quasi) quello che si diceva in aula il giorno dopo lo si leggeva sui giornali, i quali anticipavano ai lettori i temi e gli orientamenti dei Padri nelle Assemblee generali, condizionando così l’andamento dei lavori. Non si tenne conto che «il mezzo è il messaggio», (M. McLuhan) e che, come dicono gli autori, «nell’universo mediatico, lo scopo del messaggio non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione» (p. 78). Si finì col sovrapporre al «trascendentale ideologico» della modernità quello tecnico della stampa e della TV, sì da produrre «"il trascendentale ecclesiologico" che da subito si impose come premessa per "fare" e poi "comprendere" il Concilio» (p. 82). Dopo cinquant’anni siamo ancora alle prese con la giusta ermeneutica del Vaticano II.


p. Serafino M. Lanzetta, FI


Da: Corriere Fiorentino (inserto toscano del Corriere della Sera), del 13 ottobre 2011, p. 17.

mercoledì 12 ottobre 2011

Sono nati i Quaderni di Fides Catholica


Nel 2006 venne alla luce una nuova rivista teologica dal taglio apologetico, a cura dei Francescani dell’Immacolata: “Fides Catholica”. Quel nome fu appunto il programma che ci si prefiggeva: lumeggiare la fede della Chiesa, una fede che, al dire di Benedetto XVI, “ci precede”; una fede che è più grande della speculazione dell’uomo, non è frutto di un mero raziocinio, ma è dono di Dio. La fede illumina la ragione perché Dio è il Creatore e il Signore dell’uomo, il suo Salvatore. Per questo la ragione può illuminare la fede. Infatti, il discorso teologico è essenzialmente un processo d’illuminazione della fede, in un percorso rigidamente razionale e scientifico, volto a verificare i dati della Rivelazione, confrontandoli e spiegandoli alla luce di un evento: Gesù Cristo, Verbo incarnato del Dio vivente, Colui che prolunga la sua missione teandrico-salvifica nella Chiesa, suo mistico Corpo, ovvero quel suo rimanere salvificamente presente nella città degli uomini. Senza la Chiesa, infatti, non c’è salvezza. Senza il prolungamento nel tempo dell’uomo del mistero salvifico di Cristo non c’è possibilità di accedere a Dio, al Padre.

Quante volte, in questo ultimo scorcio di secolo, si è purtroppo ripetuto che ormai queste erano parole obsolete, da modificare alla luce delle recenti acquisizioni della moderna sociologia e psicologia, in cui il primato è della dimensione umana e oltretutto del solo corpo. Non si potrebbe più dire con l’assioma classico extra Ecclesia nulla salus, come non si potrebbe più dire che, ad esempio, ogni azione moralmente cattiva, un peccato mortale cioè, provoca l’esclusione dall’eterna beatitudine. E così tante altre cose, che cominciavano a divenire, nello sfrenato post-concilio, quasi insopportabili, presi da una smania di cambiare, fino al punto di giustificare anche il cambiar-si.

La verità della fede, però, non è prezzo di umane suggestioni, né di acquisizioni più o meno in linea col sentire comune del tempo. Ecco perché venne alla luce Fides Catholica. Senza pretese, senza arroccamenti, ma col solo desiderio di esser fieri della verità cattolica, rifiutando, in modo argomentato e teologico, tutto quanto sa di “prurito di novità”, ma che non edifica e non salva.

La rivista in questi cinque anni ha fatto grandi passi e con gratitudine, soprattutto alla Vergine Immacolata Sede della Sapienza, possiamo dire che ha anche trovato una sua adeguata collocazione nell’areopago teologico, diventando propositiva e al tempo stesso un valido riferimento didattico.

Il P. Comune, P. Stefano M. Manelli, dopo questi anni di lavoro scientifico, ha voluto dare vita anche ai “Quaderni di Fides Catholica”, di cui questo è il primo numero, in cui riproponiamo ai lettori – come estratto – un articolato e ricco studio del Padre sul mistero di Fatima, l’inferno e il Cuore Immacolato. P. Manelli, studioso del Messaggio della Vergine di Fatima, presenta la visione dell’inferno ai tre pastorelli, con la seguente richiesta di consacrazione al suo Cuore Immacolato, come chiave di lettura dell’intero messaggio di Fatima e come salvezza per la teologia e per la Chiesa in questo nuovo millennio, preparando così il trionfo dell’Immacolato Cuore di Maria.

A Lei, Vergine Immacolata, consacriamo questa nuova impresa editoriale, augurandoci che porti frutto d’unità e di cattolicità sempre più vasta per la Santa Chiesa nostra Madre (dalla Presentazione).

p. Serafino M. Lanzetta, FI


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