sabato 22 ottobre 2011
giovedì 20 ottobre 2011
mercoledì 19 ottobre 2011
Nell’Evo confusionale un libro che fa chiarezza
da sinistra: p. Serafino M. Lanzetta (che fa la foto), Pucci Cipriani, Mario Palmaro e Paolo Deotto
Erano presenti, al tavolo dei relatori, lo stesso Padre Lanzetta, il professor Pucci Cipriani, il professor Mario Palmaro e il dottor Paolo Deotto, direttore di Riscossa Cristiana. Questo incontro è stata la risposta più bella all’articolo che Alberto Melloni aveva scritto sul «Corriere fiorentino» il giorno precedente, giornale che ha dedicato, nel giorno dell’incontro, un’intera pagina all’evento. L’esponente della Scuola di Bologna, che ha fatto del Concilio Vaticano II un mito intoccabile, nel suo pezzo ha usato toni insolenti e sgarbati nei confronti di chi sostiene che la Chiesa ha subito un trauma con il suo XXI Concilio. La medicina ci insegna che dai traumi si riesce spesso a guarire soltanto scoprendo le cause che li hanno generati... Foderarsi gli occhi, oppure accanirsi nel ripetere che il Concilio non è il problema, ma semmai i problemi sono sorti perché gli indirizzi conciliari non sono stati eseguiti sufficientemente (i progressisti) oppure perché ci sono state cattive interpretazioni di essi (i neoconservatori) non è certo un buon servizio alla Chiesa. Melloni considera i cattolici che amano tutta la Chiesa, dunque la sua Tradizione, come dei nostalgici che «fanno tenerezza». Gli fanno pena e li compatisce come dei frustrati che attendono una rivincita: «attendono una riscossa anziché comprendere la loro posizione per quello che è: un movimento che chiama tradizione e abitudini della propria giovinezza», eppure la Chiesa di Ognissanti era ricca di giovani e di studenti, così come questi stessi giovani si interessano alla Tradizione della Chiesa attraverso le idee che liberamente circolano su Internet. Non si tratta affatto di nostalgici. L’anagrafe, d’altra parte parla da sola: Melloni non sa che in questi convegni e nelle sante Messe tridentine gli anziani sono sempre la percentuale più ristretta. In realtà tutti questi cattolici vogliono capire cosa è realmente accaduto il quel Concilio Vaticano II che tanti problemi ha creato. Nessuno, privo di malafede, può affermare che la Chiesa abbia tratto giovamento dalle decisioni pastorali del Vaticano II. Nessuno può dire che siano aumentate le vocazioni, che sia accresciuto lo zelo, che si siano ampliate la Fede, la Speranza, la Carità, che ci sia una buona preparazione catechistica nei bambini e nei ragazzi, che la pratica religiosa sia aumentata, che le famiglie abbiamo tratto giovamento, che le leggi dei Paesi occidentali siano rispettose della vita fin dal suo concepimento, che l’evangelizzazione, comandata da Gesù Cristo ai suoi Apostoli, abbia assimilato nuova e vitale linfa… Niente di tutto questo. Allora, veramente, come disse Ralph McInerny, nel Vaticano II qualcosa è andato storto, ma non è andato storto perché, come sostenne lo studioso americano, i documenti non sono stati recepiti correttamente e la loro interpretazione è stata falsificata, ma perché il Concilio, seguendo la cultura del tempo, si è voluta disfare, ha detto padre Serafino Lanzetta, del principio della Croce e del sacrificio, sostenendo una tesi eterodossa «in nome della pastoralità. Ciò ha originato l’equivocità e, dunque, il Concilio si è sottoposto, per la sua stessa natura, a molteplici interpretazioni. Molti, come risulta dall’analisi di Melloni, hanno pensato che la dottrina debba adattarsi ai tempi e non viceversa. Hans Küng sostiene nel suo libro Salviamo la Chiesa che la Chiesa è in crisi non per mancanza di Fede e di predicazione corretta, ma deriva da un problema di carattere politico all’interno della Curia romana, quindi dalla teologia romana, della teologia metafisica. Küng, come Alberigo e Melloni, sostengono che il Vaticano II voleva recuperare la Chiesa del primo millennio, considerandolo come un periodo ottimale in quanto la Chiesa era unita e compatta: Occidente, Oriente insieme, senza scismi, senza Protestantesimo. Ma come è possibile, nella Chiesa non considerare il secondo millennio? Ben venga, allora, l’analisi divulgativa di Gnocchi e Palmaro che chiarisce molti punti, generando, però, in taluni, turbamento, irritazione, nervosismo» e, senza argomentazioni serie, cercano di screditare con irriverenza coloro che considerano “nemici”.
Padre Lanzetta, che apprezza di questo libro il piacevolissimo italiano, ha ricordato, come hanno ben sottolineano Gnocchi e Palmaro nel loro volume, l’incidenza formidabile dei media sul mito del Vaticano II e ciò è derivato da una filosofia di matrice kantiana: la cosa c’è se appare. L’«Avvenire d’Italia», nel periodo del Concilio, riportava la cronaca delle assemblee conciliari: le realtà sacre venivano messe in piazza in una sorta di mentalità “democratica” che appagava i bisogni liberali della cultura dell’epoca. E tali cronache riportavano ciò che appariva “nuovo” e “rivoluzionario” e non l’essenza della Fede. Emblematico risulta il fatto che l’arcivescovo brasiliano Hélder Pessoa Câmara (noto come Dom Hélder, 1909-1999) preferisse tenere delle conferenze stampa, piuttosto che parlare in Concilio, poiché lo riteneva, giustamente, più efficace, in quanto i Padri Conciliari si lasciavano maggiormente influenzare da quanto appariva sui mezzi di comunicazione di massa, piuttosto che da quanto ascoltato nell’Assise.
«Il libro di Gnocchi e Palmaro», ha affermato padre Lanzetta, «non è un un’inquisizione, un processo a Galileo, ma semplicemente un’analisi dei fatti, è prendere coscienza di un problema reale. Occorre prendere coscienza che il Concilio non è il tutto, non è il discrimine. La Fede cattolica non si origina in un Concilio». La Fede non dipende dall’adesione al Concilio Vaticano II, perché esso non è dogma di Fede. La bella addormentata aiuta a rendersi conto di un problema che non può più essere trascurato.
Paolo Deotto ha poi dichiarato di essere stato soddisfatto nel leggere il libro di Gnocchi-Palmaro, perché da molto tempo riceve, in maniera incalzante, posta dai lettori di Riscossa Cristiana nella quale si evince il desiderio di comprendere i punti controversi del Concilio e «il desiderio di avere una Chiesa vicina e autorevole» che non si confonde con le altre realtà terrene dalla consistenza liquida o gassosa. Il fedele della prima ora conciliare rimaneva sgomento di fronte ai nuovi accadimenti ecclesiastici: preti operai, preti sindacalisti, preti sociologi, preti politicanti, preti guerriglieri… quando invece, ieri come oggi, come sempre, abbiamo necessità di preti che facciano i preti, «ne abbiamo bisogno» ha affermato Deotto, «come dell’aria che respiriamo».
La comunicazione dell’epoca si è appropriata della tematica religiosa: il Concilio Vaticano II era una grande novità e giornali e Tv hanno messo sotto i riflettori una Chiesa che, attraverso alcuni teologi e alcuni pastori, voleva emanciparsi e stare nei salotti buoni della società. «La Chiesa voleva stare al passo con i tempi», senza più inimicarsi nessuno volle piacere a tutti per essere amica di tutti, non guardando più ad errori ed eresie, ma soltanto alle cose che uniscono e non dividono, «ben lontano da un sant’Atanasio che rimase saldo nella Fede Cattolica e nel Dio incarnato con tutte le conseguenze che questo Credo comporta».
L’intervento del Professor Palmaro è stato poi pregnante di significato. Ha ricordato, innanzitutto, di essere nato nel 1968 e di quegli anni ricorda, in particolare, una parola che veniva sempre pronunciata e praticata: «dibattito», continuamente invocato e reclamato. Da allora si fanno dibattiti su tutto e su tutti. «Tuttavia oggi c’è qualcuno che non vuole più i dibattiti benché li abbia tanto sostenuti. Da qui nasce l’intolleranza, la quale nasconde una grande debolezza: non guardare in faccia la realtà. Ecco, allora, l’età del paradosso: dove, io e Gnocchi abbiamo potuto esprimere il nostro pensiero cattolico? Su giornali laici e in particolare su “Il Foglio” di Giuliano Ferrara. Qui abbiamo potuto dare spazio ad un’ermeneutica di fatti cattolici. Siamo dentro a quello che, molto probabilmente, gli storici del futuro definiranno l’ “Evo confusionale”.
Ci accusano di far ricadere tutte le colpe sul Vaticano II e che cerchiamo tutte le cause dei mali in questo preciso Concilio. Non è vero, perché diciamo che molti problemi dottrinali precedettero il Vaticano II, come ben rileva il professor Roberto de Mattei. Difatti ai miei studenti faccio leggere l’enciclica di san Pio X, la Pascendi Dominici Gregis, dove sono evidenziati e condannati gli errori dei modernisti. Essa ha un carattere definitorio e giuridico e vi è presente una metafisica solida, dove la teologia è accompagnata da un sano pragmatismo che non lascia spazi all’immaginazione o alle fantasie utopiche.
Il cattolico è chiamato a reagire: non può salvaguardare ciò che la Chiesa ha sempre rinnegato. Eppure Melloni e certi conservatori non vogliono che si parli. La loro accusa è forte, usano le armi della scomunica oppure ci considerano dei poveri marinai che discutono in osteria. Altro paradosso: non si può dire più a nessuno che è un eretico, ma nei confronti dei cattolici che instaurano un “dibattito” serio allora si dice che sono degli eretici…». Siamo di fronte al paradosso di Epimenide, il quale asserì «Tutti i cretesi sono bugiardi». Ma i cretesi erano tanti, supponiamo che tutti fossero bugiardi: siccome Epimenide era un cretese, allora Epimenide era un bugiardo. La sua affermazione è dunque vera, ma ciò è impossibile perché un mentitore non dice la verità. Quindi Epimenide è un bugiardo e la sua affermazione non è vera. Negare un’asserzione universale come «Tutti i cretesi sono bugiardi» equivale a dire che esiste almeno un cretese che dice la verità. Similmente a questi scrittori e studiosi cattolici tocca vivere, dunque, il paradosso di Epimenide.
Palmaro ha, infine, sottolineato l’importanza della mutazione del linguaggio avvenuta durante il Concilio e i documenti dell’Assise sono imbevuti di nuove caratterizzazioni linguistiche. Tre sono sempre state le colonne della comunicazione cattolica:
1. La lingua latina. Essa ha dato uniformità al linguaggio e al senso delle parole. Ogni cosa veniva definita in latino per non dare spazio ad ambiguità espressive, offrendo una sana solidità nel tempo.
2. Il linguaggio apologetico. Il latino non era compreso da tutti, perciò doveva avvenire il passaggio di comunicazione da un clero preparato al popolo dei fedeli: si raccontavano le vite dei santi con i libri e con le omelie, si difendevano le ragioni della Chiesa e nelle prediche non si usavano le citazioni di un Rahner, ma di san Girolamo, di san Francesco… insomma si alimentava la Fede.
3. Il linguaggio giuridico. I concetti venivano espressi in modo definitori.
Tali canoni, nel Concilio Vaticano II non li ritroviamo più. Infatti, ha spiegato Palmaro, gli schemi conciliari, preparati dalla Curia di Roma, che contemplavano ancora queste tre colonne, furono cestinati.
Molti aspetti, poi, presenti nei documenti conciliari, sono ormai datati e sorpassati, per esempio il rapporto fra l’uomo e l’ambiente o l’uomo e la tecnica, entrambi caratterizzati dall’irrazionale ottimismo degli anni Sessanta. Dunque siamo di fronte ad un altro paradosso: c’è molta più novità nel sollevare tali questioni che in chi, invece, è ancorato al “moderno” di allora. Pertanto affrontare queste tematiche risulta un dramma psicologico per quella generazione che è cresciuta nel mito del Concilio. Siamo di fronte ad un nuovo Muro di Berlino che cadrà, inesorabilmente, come accade per le ideologie. La Chiesa non è nata un’altra volta con una fittizia e vagheggiata pentecoste, perché la Chiesa ha avuto una ed una sola Pentecoste, non decisa dagli uomini. Dunque occorre armarsi di santa pazienza. I tempi della Chiesa sono lunghi: ci sono voluti quasi 50 anni per sollevare problemi come quelli di oggi e l’incantesimo della Bella addormentata sarà spezzato anche grazie a lavori come quello di Gnocchi e Palmaro, che, come tanti altri cattolici che amano la Chiesa, si pongono dei leciti interrogativi ai quali desiderano avere risposte non vaghe, ambigue o latitanti, ma risolutive e operano con lo spirito di chi non vuole servirsi della Chiesa, ma desidera servirla.
Cristina Siccardi