Dopo aver pubblicato un interessante volume di epistemologia teologica, partendo dalla filosofia del senso comune: Vera e falsa teologia. Come distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca "filosofia religiosa", Roma 2012, Mons. Livi entro nel vivo e fa anche i nomi della falsa teologia, o esegesi che sia. E questo per un dovere pastorale, dice. Si veda su La Bussola Quotidiana anche la sua risposta al direttore di Avvenire.
Fonte: Corrispondenza Romana
Mons. Antonio Livi non fa parte di quelle correnti insipide della cosiddetta “teologia contemporanea” per la quale la parola teologia non significa affatto studio, amoroso, di Dio e della sua Parola-Legge, ma mero conseguimento di titoli accademici presso uno dei tanti pontifici istituti della Penisola. Eppure, di mons. Livi, già Decano e docente di Filosofia alla Lateranense, è impressionante la produzione teologica e filosofica, con decine di volumi pubblicati (l’ultimo e decisivo contributo è Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012).
Si dice perfino che abbia contribuito, da par suo, alla redazione della magnifica enciclica, oggi rimossa, Fides et ratio (1998). Da tempo poi, collabora con varie iniziative di apologetica cattolica, come la Bussola quotidiana on line. Su quest’ultima rubrica ha pubblicato recentemente (13 marzo 2012) un’importante critica teologica verso l’auto-nominatosi “profeta di Bose”, quel fratel Enzo Bianchi che, oltre ad essere autore di molte opere discusse e discutibili, è stato altresì iniziatore di una comunità religiosa, di stampo eterodosso, verso la fine del Vaticano II.
Bianchi appartiene, se si vuole, all’ultima generazione del neo-modernismo post-conciliare, in compagnia di vari teologi e intellettuali cattolici che si caratterizzano da un lato per l’eterodossia delle posizioni (tutti gli autori censurati dal Magistero negli ultimi anni, da Küng a padre Sobrino, sono di questa corrente spuria) e dall’altro per l’enorme presenza sui media, purtroppo anche cattolici (“Avvenire” e “Famiglia Cristiana” in primis).
Scrive Livi: «Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi veste i panni del ‘profeta’ che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico); quando invece si rivolge ai cosiddetti ‘laici’ (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo), Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di ‘quinta colonna’ posso ricorrere alla metafora, ideata da Dietrich von Hildebrand, di cavallo di Troia nella Città di Dio)».
Con questa doppiezza né profetica né cristiana, il Bianchi è riuscito ad avere una popolarità incredibile che lo candida ad “anti Papa” viste le sue posizioni lontane dal Magistero e in opposizione frontale con la Tradizione. Impossibile ripercorrerle tutte! Si oppose, negli ultimi anni, al celibato sacerdotale, alla dichiarazione Dominus Jesus, al motu proprio Summorum Pontificum, e perfino alla Madonna di Fatima la quale condannando, tra le ideologie moderne, solo il comunismo (ideologia con cui solitamente simpatizzano modernisti e semi-modernisti), non sarebbe credibile!!
Qualche giorno prima mons. Livi, con la medesima acribia teologica e filosofica, aveva espresso alcune serissime riserve nei riguardi del teologo Piero Coda, certamente meno conosciuto del Bianchi, ma ben noto, come un capofila del progressismo cattolico. In questo lungo testo, pubblicato dal blog Disputationes Theologicae, Livi stila preventivamente 10 criteri per distinguere gli errori dal dogma cattolico: si tratta di punti di fondamentale importanza teologica che non abbiamo lo spazio di riprendere qui. Ma che certamente dovranno essere sapientemente valutati da chi non vorrà proporre una nuova Professio fidei che voglia escludere le ambiguità teologiche più diffuse, anche in connessione con la giusta interpretazione o applicazione delle novità conciliari.
Livi accusa Coda di essere dipendente dall’idealismo di Hegel e di identificarsi «volutamente con il metodo di quella ‘filosofia religiosa’ moderna e contemporanea» che egli ha «denunciato altrove come fonte dell’inquinamento metodologico della teologia cattolica del Novecento».
Anche Coda, come Enzo Bianchi, Hans Küng, e prima di loro Karl Rahner, ha ribaltato l’ermeneutica tradizionale: non legge infatti la filosofia e le opinioni del tempo alla luce del Vangelo, ma reinterpreta le categorie bibliche e teologiche, alla luce della modernità immanentista ed anti-teista.
Infine, secondo Livi, mons. Coda ignora «le differenze dottrinali tra cattolicesimo, ortodossia e protestantesimo». Cosa, in verità, né innocente, né rara nella teologia accreditata come scientifica nel post-Concilio. Auspichiamo che questa di Livi sia la prima di una serie di ormai indispensabili messe in guardia che dimostrino come la lettura del Concilio alla luce della Tradizione sia la strada obbligata per depurare la teologia cattolica dagli abbagli della modernità.
Fabrizio Cannone