Lo scorso 9 giugno si tenne a Cremona un convegno su P. Tomas Tyn e l'evoluzionismo modernista. Intervennero P. Giovanni Cavalcoli e P. Serafino M. Lanzetta. Moderava l'incontro il Dott. Mauro Faverzani, che in sintesi ora ci descrive l'evento e le relazioni.
Parlare di evoluzionismo modernista può spaventare il
pubblico meno avvezzo a masticar temi filosofici, ma quando è Padre Tomas Tyn a
spiegare, anche concetti in apparenza difficili diventano, in realtà,
abbordabili. La riprova si è avuta lo scorso 9 giugno a Cremona in Cascina
Moreni, sede del convegno promosso dal Gruppo Laico Canossiano “Giuseppina
Ghisi”, dal Centro di Solidarietà “Il Ponte” e dal locale Centro Culturale
“Padre Tomas Tyn”, D’eccezione i relatori: Padre Giovanni Cavalcoli,
Vicepostulatore della causa di beatificazione di Padre Tyn e docente emerito di
Teologia Sistematica alla Facoltà Teologica di Bologna, e Padre Serafino M.
Lanzetta, docente di Teologia Dogmatica presso l'Istituto Teologico “Immacolata
Mediatrice”.
Da sinistra: P. Serafino M. Lanzetta, P. Giovanni Cavalcoli e il Dott. Mauro Faverzani
Della critica mossa da Padre Tomas Tyn all'idealismo
panteista si è occupato nello specifico Padre Cavalcoli, che ebbe modo di
conoscere personalmente questo suo Confratello di origine cecoslovacca, oggi in
odore di santità. Appartennero entrambi alla stessa comunità domenicana, quella
di Bologna, dal 1972 al 1990:
“La parola modernismo è nota in relazione alla
famosa enciclica «Pascendi» di San Pio X -ha spiegato Padre Cavalcoli- ma
ad esempio già il Maritain nel 1966, nel suo famoso libro «Le paysan de la
Garonne», segnalava con arguzia un ritorno di tale concezione. Egli ebbe anzi a
dire che il modernismo dell'epoca di San Pio X sarebbe stato un piccolo
raffreddore in confronto alla polmonite del modernismo di oggi”.
Il termine
«modernismo» significa 'fare della modernità un assoluto', un idolo, senza
esercitare su di esso alcun senso critico, alcun discernimento:
“Cartesio,
Kant, Hegel, lontani dall'esser ortodossi -ha proseguito l'illustre
relatore- sono sullo sfondo di larga parte del modo di pensare di oggi, anche
nella Chiesa, negli Istituti educativi superiori tanto quanto nelle Università
Pontificie. E lo dico con sofferenza. C'è chi ritiene per questo che si sia
giunti all'apostasia finale. No, il Signore non abbandona, abbiamo tanti
soccorsi, però è bene tenere gli occhi aperti. Perché il rimedio c'è ed è
quello di seguire il Santo Padre, di seguire il Magistero, il Catechismo,
nonché di dare una retta interpretazione del Concilio Vaticano II”. Padre
Tyn osservò come in Cartesio persista l'istanza idealistica. Scrisse Tyn:
”Di fatto non viene negata la consistenza obiettiva e reale dell'ente, ma
avviene qualcosa di più significativo e, ci sia permesso di dire, di più grave.
Anziché fondare l'idea della sostanza sulla sua realtà, al contrario
l'obiettività viene dedotta dalla rappresentazione soggettiva, chiara e
distinta che la mente ne ha. Nessun dubbio che la mente possieda l'idea della
sostanza, dell'attributo e del modo. Ma nell'idea non c'è solo pura idealità,
c'è anche corrispondenza all'oggetto. Di fatto, se all'idea nulla
corrispondesse ed essa dunque fosse un mero pensato della mente, tutte le idee
si equivarrebbero, giacché tutte sarebbero egualmente pensabili”. Dunque, “il
realismo cartesiano -ha commentato Padre Cavalcoli- non è originario, ma
derivato. Pertanto, che le cose esistano in sé e fuori di noi, per Cartesio non
è evidente, ma va dimostrato. Il dato originario, ciò che è evidente per lui, è
l'idea e fondamentalmente il cogito. Lo stesso uomo è ridotto a pensiero in
atto”.
Padre Tyn ha però dimostrato come, se ciò fosse vero, non ci
potrebbero più essere differenze tra le cose, perché sarebbero caratterizzate
solamente dalla loro pensabilità, mentre la differenza proverebbe solo dal
reale. Anche l'Io di Fichte è in fondo il cogito cartesiano. Esso pone il
Non-Io in luogo della cosa-in-sé. Cartesio, insomma, ha posto le premesse,
gettato i semi, da cui derivarono il panteismo di Spinoza ed Hegel -in cui
l'uomo è assorbito in Dio- e, da esso, l'ateismo di Marx -in cui Dio si
dissolve nell'uomo-, essendo ogni essere assoluto, quindi chiuso rispetto a
Dio. Panteismo ed ateismo poi condannati dalla Chiesa, soprattutto col Concilio
Vaticano I: “Soltanto Dio è il Suo essere -spiega Padre Cavalcoli- Lo
dice San Tommaso in base a Es 3,14: 'Io sono Colui che è'. Il meccanismo di
fondo dell'idealismo è la pretesa dell'uomo, che vuol sostituirsi a Dio con
avidità empia e blasfema”. C'è una continuità dunque da Cartesio a Kant,
poi Fichte, Schelling, Hegel fino a Nietzsche e Marx con una progressiva
esaltazione di un soggettivismo che si fa immanentismo, nonché con
l'autodivinizzazione dell'Io umano, che non sente più alcuna necessità di un
Dio trascendente. L'esperienza raggiungerebbe la cosa, ma non l'intelletto
speculativo. Esso non ne avrebbe peraltro bisogno con l'a priori,
raggiungendo la forma dell'oggetto, che non è più la cosa, ma il fenomeno.
Il conoscere vien pertanto divelto dall'essere.
D'estremo interesse ed attualità anche l'intervento di Padre
Serafino M. Lanzetta dei Frati dell'Immacolata. Intervento, incentrato sulla
critica di Padre Tyn all'impianto etico-esistenzialista del teologo gesuita
Karl Rahner, perito al Concilio Vaticano II del Cardinale di Vienna, König.
“Padre
Tyn gli rimprovera d'aver elaborato una nuova forma di etica della situazione –ha
spiegato l'illustre relatore-. Per Rahner la vita morale di un uomo non
potrebbe ridursi a dedurre dalle norme universali e naturali, quindi divine, i
principii dell'agire particolare esistenziale nel determinato momento, in cui
mi trovo ad agire, ciò che è il principio dell'esistenzialismo. La norma non
riuscirebbe in ogni caso a darmi un indirizzo concreto, poiché il caso
particolare sarebbe comunque e sempre più problematico”.
Rahner però non ha
come riferimento il tomismo classico, bensì Heidegger, che rappresenta a sua
volta, lo sviluppo concreto ed omogeneo della concezione
cartesiano-kantiana-hegeliana, già presentata. “L'uomo è un esserci, che si
pone il problema dell'essere”, ha aggiunto Padre Lanzetta. Ma, secondo San
Tommaso, non potrei pormi tale questione, senza aver prima conosciuto qualcosa
che abbia l'essere, quindi un ente finito, fatto di forma e materia, per
ascendere da qui fino a Colui che è l'essere. Invece, in Rahner, l'uomo viene
concepito come individuo, come esistente e non come persona, il che porta ad
escludere un'essenza incarnata in un'esistenza, facendo viceversa perno
sull'aspetto dell'uomo come atto di essere. L'essenza si confonde quindi con
l'esistenza. Ma, se l'uomo non è più capace di risalire all'essere partendo
dagli enti, necessariamente ciò che è universale nell'uomo viene totalmente
assorbito in ciò che è particolare, in questo uomo:
“Quel che più dà
verità al mio esserci nel mondo sarebbe la morte -ha spiegato il relatore-.
Questo, tradotto in termini teologici, porta Rahner a ritenere che la legge
universale possa dare un'indicazione, ma non possa dire la verità del mio
agire, verità affidata alla libertà che si confronta con il caso particolare.
Quest'etica, purtroppo presentata a volte anche nelle prediche, giunge a dire
che, in effetti, sarebbero meramente orientativi anche i dieci Comandamenti di
Dio, semplici norme insomma, astratte ed incapaci di soddisfare la mia esigenza
concreta in un determinato momento, rispetto al quale sarebbe la mia libertà a
doversi orientare. Questa è l'etica della situazione, che poi diventa anche
un'opzione morale fondamentale”. Rahner non vuole negare l'oggettività
della legge morale naturale e dei Comandamenti divini, quindi, ma pone le
premesse nei fatti, affinché si arrivi appunto a quest'etica della situazione: “In
questo modo cade la moralità dei nostri singoli atti, non si peccherebbe mai,
in quanto si sarebbe comunque 'orientati' in qualche modo a Dio, pur dovendo
fare i conti con la propria esistenzialità. Crolla l'impianto soprannaturale -avverte
Padre Lanzetta- Morale per quest’etica è il mio orientamento universale a
Dio. Sono cattolico? Bene. Ma poi cosa devo fare, in quest'ottica, non me lo
dovrebbero dire la Chiesa e il Catechismo, bensì la mia coscienza, metro ultimo
del mio agire morale. Oggi è questo il pensiero prevalente. In effetti, la
coscienza mi deve orientare, però non è il giudice definitivo, non si
sostituisce alla legge di Dio. E’ -direbbe San Bonaventura, citato da Giovanni
Paolo II nella 'Veritatis Splendor'- l'«araldo del gran Re», è il giudizio
morale sul bene che ho davanti e sul male che devo rigettare. Non crea il bene,
lo indica. E' la libertà, che mi muove a scegliere il bene”. Quest'etica
esistenziale formale porterebbe a conseguenze devastanti, condurrebbe a
giustificare il male con il bene. Come nel caso dell'aborto, esempio citato da
Padre Lanzetta: “Così facendo, stravolgiamo la stessa morale, rendendola
soggettivismo. Come accade ai nostri giorni, in cui ognuno ha una morale
propria. E' il relativismo etico”. Rahner pone il dubbio come metodo di
ricerca: “Invece devo partire dalla verità, dalla realtà -ha affermato
l'illustre relatore-. Padre Tyn critica Rahner, dicendo che in questo modo
si afferma l'agnosticismo, per il quale io sarei incapace di conoscere la
verità oggettiva -come Kant-, postulandola come un'esigenza del mio agire
morale, contingente e necessariamente applicabile ai casi della mia vita. L'io
diventa la norma definitiva dell'agire morale e ciò porta in definitiva
all'antropolatria, all'adorazione dell'uomo ed alla negazione di Dio, allo
scetticismo nei confronti della Sua capacità salvifica”.
Questa morale
privilegia l'uomo come spirito, come libertà contro la verità. La libertà
diventa in qualche modo, quindi, creatrice della norma morale. Un’etica,
questa, riprovata dal Magistero, in particolare da Pio XII nel 1952, ed ancora
condannata da Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor, nn.55-56. Non è quindi un'etica
cattolica:
“Il rischio del soggettivismo etico -ha proseguito Padre
Lanzetta- è quello di creare una società, in cui la morale è dettata dai
bisogni individuali; invece con la Dottrina della Chiesa è dettata dalla
necessità di adeguare la mia vita, la mia libertà alla norma di Dio, alla legge
eterna, naturale e positiva, datami da Dio. E' un mondo autenticamente umano,
in cui tutti si conformano alla verità e quindi tutti vivono la pace, non
essendovi ragioni di sopraffare in base alle rispettive esigenze personali”.
Un chiaro insegnamento, che ha rivelato l’utilità del convegno promosso non
solo per conoscere l’estrema attualità del pensiero di Padre Tyn e non solo per
mettere in guardia dai rischi del relativismo contemporaneo, ma anche per
fornire indicazioni, per suggerire possibili percorsi, che aiutino ad uscire
dalle sabbie mobili dell’errore, per incamminarsi invece sul percorso tracciato
da Dio. Ciò che il pubblico presente all’incontro ha confermato non solo con
l’attenzione con cui ha seguito gli interventi dei due illustri relatori, ma
anche con le domande, che hanno poi acceso un interessantissimo dibattito.
Mauro Faverzani