In occasione di una giornata in onore del B. Pio IX, giovedì 20 settembre 2012, ricordando la presa di Porta Pia (20 settembre 1870) in un modo del tutto lontano dai canoni della giustizia e della verità, il p. Serafino M. Lanzetta, nella solenne celebrazione eucaristica d'apertura, avutasi nella Chiesa d'Ognissanti in Firenze, ha pronunciato l'omelia che riportiamo di seguito:
Celebriamo
una giornata in onore del B. Pio IX, terziario francescano, il grande Pontefice
degli anni più terribili della storia dell’Europa e della Chiesa, che sedette
sul Trono di Pietro dal 1846 al 1878.
Uno
dei più gradi atti di questo lungo pontificato fu senza dubbio la solenne
proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione: Maria SS. è stata
predestinata sin dal primo istante del suo concepimento dal peccato originale e
questo in vista dei meriti di Cristo. Maria, unica tra gli uomini, per la
grazia di Cristo non è stata mai schiava del peccato e del diavolo. In Lei Dio
mostra la perfezione della sua creazione e la vera libertà creaturale. Maria,
ci disse il B. Pio IX, è tutta di Dio e questa è la sua perfezione, la sua
gioia che comunica anche a noi suoi figli. Attraverso di Lei, attraverso la sua
mediazione materna, possiamo essere anche noi di Dio.
L’8
dicembre del 1864, dieci anni dopo il dogma mariano, e con la mente fissa in
esso, il Papa redige il Syllabus, in
appendice all’enciclica Quanta cura,
ovvero dei principali errori dell’età nostra: un elenco di 80 errori in materia
di filosofia, teologia, storia e politica. È interessante richiamarne alcuni, i
quali, benché di diverso genere e riguardanti materie differenti, fanno
trasparire una radice che li accomuna.
Anzitutto
un errore riguardante la Chiesa:
Propos.
XIX: «La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è
fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino
Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della
Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti».
Poi
un errore riguardante il principato
civile del Romano Pontefice:
Propos.
LXXVI: «L’abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica
gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa».
Infine
due errori riguardanti l’odierno
liberalismo:
Propos.
LXXVII: «In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si
ritenga come l’unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti,
quali che si vogliano»;
Propos.
LXXIX: «È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente
l’ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi
pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i
costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell’indifferentismo».
Quale
era, possiamo chiederci, l’idea di libertà che soggiace a queste proposizioni
condannate? Il liberalismo religioso che minacciava la Chiesa, limitandone la
sua libertà di espressione, e che poneva tutte le religioni sullo stesso piano,
in modo da portare all’indifferentismo e al relativismo, era lo stesso che
denigrava il potere temporale del Papa: la sua perdita avrebbe favorito una
libertà spirituale del Pontefice e della stessa Chiesa. La spoliazione del
Papato, quindi, avrebbe dovuto significare il restringimento della libertà
politica della S. Sede, nell’ambito di un pluralismo religioso, in cui la
verità cattolica doveva lasciare spazio alla pluralità degli altri culti, fino
alla sparizione della stesso concetto di religio
vera. Così trionfava il razionalismo assoluto, secondo cui non esiste un
Essere trascendente e Dio si identifica con le cose: bene a male, vero e falso,
necessità e libertà, spirito e materia, diventano la stessa realtà. Un falso
concetto di libertà, identicamente soggiacente tanto all’aspetto politico
quanto a quello filosofico-teologico, minacciava la cultura e la Chiesa:
minacciava il futuro stesso dell’uomo, lasciandolo precipitare nel baratro del
relativismo. Pio IX con grande avvedutezza lo denunciò e ci fu anche qualche
altro che s’accorse immediatamente della profezia di quel gesto, del Sillabo, e
corse in soccorso e in difesa del Papa dell’Immacolata: il B. John Henry
Newman, con la sua Lettera al Duca di Norfolk (1874).
Era
in discussione il concetto di libertà rivendicato con quello che poteva
sembrare il suo contrario, la sua negazione, la coscienza. La libertà
condannata era un gesto proditoriamente in contrasto con la coscienza
dell’uomo. Il Papa violava il suo imperativo e l’obbedienza alla Chiesa avrebbe
favorito una massificazione delle intelligenze, ostacolando la scelta personale
secondo un giudizio morale soggettivo. L’illustre statista Gladstone, a cui
Newman risponde nella sua Lettera, sosteneva che il Concilio Vaticano I avesse
creato un nuovo tipo di cattolicesimo: una Chiesa che toglie ogni libertà alla
discussione, una Chiesa che perfino infallibilizza il suo Pontefice
rinchiudendo la sua dottrina come in un circolo vizioso. Così non era più
possibile essere buoni cattolici e buoni inglesi. Gladstone, capo del partito
liberale britannico e per quattro volte primo ministro, col suo fervore tutto
anglicano, s’interessò da vicino del Sillabo, del Vaticano I e della politica
della S. Sede e in particolare di Pio IX. Era simpatizzante del Risorgimento
italiano. Temeva che i dettami del Vaticano I, i cosiddetti “decreti”, come da
lui chiamati, avessero effetti dannosi sull’obbedienza e sulla fedeltà civile
dei sudditi inglesi a sua Maestà, la Regina Vittoria. I cattolici erano così
schiavi del pensiero di un altro, di una potenza straniera, perché non vi sono
settori della vita umana che non cadano sotto l’obbligo della legge morale,
dettata dal Pontefice. In una parola, per Gladstone il Papa era un limite alla
libertà, alla stessa civiltà. Ma al motto echeggiato da questi in modo
sarcastico, «prima cattolico e poi inglese», Newman rispose che le due cose non
erano affatto incompatibili: si poteva essere pienamente cattolici e
perfettamente inglesi ad un tempo.
All’origine
di questo pensiero però c’era un’idea di coscienza come costruttrice di se
stessa, senza alcun riferimento a Dio. L’uomo era misura di se stesso e il suo
giudizio creatore dell’azione morale. Newman ribatté rimanendo sullo stesso
livello del suo interlocutore: la coscienza è, in verità, il sacrario dell’uomo,
lì dove Dio parla nell’intimo e pronuncia quelle parole infallibili, iscritte
nel suo cuore. Una libertà assoluta e irrazionale della coscienza porta al deliramentum. Questa libertà era stata
denunciata da Gregorio XVI e da Pio IX. La Chiesa invita a seguire non il
giudizio arbitrario di una libertà assoluta ma paradossalmente proprio «la voce
della coscienza sulla quale la Chiesa è fondata», scrive Newman (Lettera, V).
C’è
una falsa coscienza che è l’uomo misura della verità e invece una coscienza che,
quale giudizio morale sul bene da scegliere o sul male da evitare, mi propone
il sentiero della verità. La coscienza non è un assoluto ma deve essere guidata
da una luce superiore ad essa: la verità. Si tratta di passare da un’idea
soggettiva di coscienza e di vita morale a una oggettiva: proprio questo fece
Pio IX, in continuità con tutta la Tradizione anteriore, denunciando il
pericolo del liberalismo religioso, quasi come una sintesi delle insidie alla
vita della Chiesa e dell’umanità stessa. Non si può impugnare la coscienza
contro la verità, contro Dio e contro la religione vera.
Il
17 maggio 1879, Newman nel suo discorso sulla ricezione del biglietto papale
che lo nominava Cardinale di Santa Romana Chiesa, da neoporporato così disse:
«E
mi rallegro ora al pensare che, fin dal principio, mi sono opposto ad un grande
pericolo: per trenta, quaranta, cinquant’anni ho resistito con ogni mia forza
allo spirito del liberalismo in religione…Mai vi fu un sistema così ostile
costruito con maggiore intelligenza e più fecondo di successo».
La
definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione dichiarò il vertice della
libertà raggiunto in una creatura umana, la Vergine Maria. Maria in Dio, suo
tutto, è pienamente libera perché può scegliere solo la Verità e l’Amore, può
solo essere di Dio.
Il
Sillabo, con la condanna delle idee libertarie sia filosofiche che politiche,
mirava proprio a combattere la radice velenosa dell’arbitrio, camuffato dietro
le false sembianze del rispetto dell’uomo e della precedenza della sua
coscienza, che necessariamente porta al ripiegamento su se stessi fino al
disprezzo di Dio e della Chiesa.
Il
Concilio Vaticano I, con la definizione solenne dell’infallibilità del Papa,
quando ex cathedra dichiara
irreformabili verità di fede o di morale, liberò ancora una volta la teologia e
la fede da un’insidia ricorrente, quella di vedersi in qualche modo autonome
rispetto al mistero. Il modernismo di fine Ottocento e il neomodernismo dei
nostri tempi postula difatti una scissione insanabile tra fede e ragione, in
mezzo alle quali vi è, come maestra, l’esperienza soggettiva.
Nella
Chiesa vi è non la libertà intesa come domino dispotico sulle cose e sulla
realtà, come promessa d’immortalità ma senza Dio o contro di Lui, echeggiando i
versi del serpente velenoso, ma l’obbedienza, che è un legarsi liberamente alla
verità, a Cristo, che ci rende liberi col suo sacrificio della Croce. Non è la
Chiesa che è rimasta indietro perdendo un’occasione, ma è la modernità, che
costruita unilateralmente su questi principi ha smarrito se stessa, lasciando
ora il posto ad un vuoto di senso.
Potremmo
allora ben dire che il Beato Pio IX fu il grande Pontefice della libertà: del
primato di Dio sulla storia, sulla politica, sulla scienza e sulla filosofia.
Con grande lungimiranza vide il pericolo di offuscare la vera portata della
libertà e di ridurla a un mero pretesto. Il suo insegnamento è allora di grande
attualità e di notevole lungimiranza sui tempi che lo avrebbero succeduto.
Che
il Signore doni anche oggi e nuovamente alla sua Chiesa questa lungimiranza,
quest’acutezza di giudizio, questa profezia per un mondo rinnovato dall’azione
infallibile della grazia. Amen.
p.
Serafino M. Lanzetta, FI