giovedì 24 gennaio 2013

Il relativismo in politica? E' crisi di fede



(su La Nuova Bussola Quotidiana, del 20.01.2013)


La forte dittatura del relativismo, silenziosamente ma con tenacia, entra e si annida tra noi. Il campo etico, che promana non da se stesso, ma da principi primissimi, iscritti nella natura dell’uomo, viene presentato come il luogo dell’intransigenza, dell’intolleranza. Meglio tralasciarlo, altrimenti divide. Sì, divide. Così pensano anche numerosi cattolici. 

I principi non negoziabili diventano sempre più opinabili. Parole nuove come “larghe intese” o “trasversalità” finiscono con il creare una confusione più grande nell’immaginario della gente; fanno credere che, di fatto, i principi fondamentali, senza i quali non c’è società, non c’è politica: la vita, la famiglia, il matrimonio naturale, l’educazione, possono essere visti come oggetto di dibattito, di intese appunto.

Trasversalità è un’illusione se con essa non si pensa solo a un’alleanza trasversale di fatto, ma non giustificata in linea di principio e come modo abituale d’azione. Praticamente, si può dare il caso in cui una larga alleanza sia la soluzione migliore per contrastare un disegno di legge iniquo, contrario al bene comune e ai valori immutabili. Ma trasversalità voluta come idea politica, come scelta di campo, è non solo irrealizzabile ma per di più relativista. Come si può pensare ai beni comuni da difendere in modo trasversale se essi in partenza sono negati? Se sono negati o anche solo offuscati de iure lo saranno anche de facto. Dal fare, poi, dall’agire, non si può dedurre o mettere in sordina l’essere, come si pretenderebbe di fare. L’agire può promanare solo dall’essere. Trasversalità rischia di far promanare le norme dal comportamento, dall’azione concreta, dalla cultura manipolata, e non dall’essere, da Dio. Ma molta politica, quasi tutta, sembra essere intenta solo al fare. Invece i problemi più gravi sono da vedersi nell’essere, nei principi che muovono l’agire. 

Ma c'è un problema più intimo. L’opinabilità sui principi non negoziabili in ambito cattolico ha delle radici profonde, che si possono scorgere in una fede malata più e ancor prima che in una ragione boccheggiante. E' un problema di fede tra i cattolici che genera lo smarrimento sui principi primi dell'agire politico. L’attuale panorama politico, così variegato, nella quasi assenza di voci autorevoli e univoche che indichino una via ai fedeli, è specchio dello smarrimento della fede, del suo declino nella città degli uomini che innalzano il cuore a Dio, che colpisce la nostra amata Chiesa. 

È la crisi della fede nella Chiesa che ingenera uno smarrimento politico dei cattolici. Dio è ormai assente dall’orizzonte umano e per questa ragione le nostre scelte sono cose fatte da noi e per noi. Ci misuriamo con la verità come se fosse un prodotto – un prodotto, appunto – delle nostre mani. Come se questa città terrena dovesse durare per sempre e non misurarsi invece con quella celeste. Viviamo una profonda secolarizzazione. La fede non riesce più a darci un orientamento ulteriore e stabile alla verità, rispetto al fondamento previo della ragione forte, perché in se stessa è diluita; spesso è stata sostituita solo con l’esperienza delle cose di Dio, in un incontro con il Vangelo, ma anonimo, intimistico. Non si esagera se si dice che da un Cristo senza la Chiesa si è passati a una Chiesa senza Cristo, senza più una misura, senza un’oggettività. Qui trasversalità ci sguazza.

Ognuno avrebbe - da pochi anni a questa parte invero - come una patente che gli permette di essere adulto e di accostarsi liberamente alle cose di Dio, e di conseguenza, alle cose degli uomini. Una fede autonoma, soggettiva, genera una sorta di liberazione della ragione dalla non negoziabilità della verità e del bene. E succede, in questo trambusto del libero suicidio, che atei devoti vedono la cogenza dei principi non negoziabili e devoti ma forse atei li respingono e li relegano all’ambito della personale sensibilità. 

Molti cattolici in questa autonomia, che sarebbe frutto della libertà che ci dona la fede, fanno leva su un principio insegnato dal Concilio Vaticano II, la cosiddetta «legittima autonomia delle realtà terrene» (Gaudium et spes 36). Lo travisano e lo leggono in modo surrettizio rispetto al suo vero significato. Qui si vede, ancora una volta, che per leggere correttamente questo dato non si può chiudere gli occhi dinanzi alla storia e alla Tradizione della Chiesa, ignorando quanto c’era prima, quello che già s’insegnava. Il testo in sé non si riferisce alla politica ma principalmente alle scienze e intende affermare che la natura, le cose create, e le stesse società degli uomini, hanno delle leggi e dei valori propri. Hanno delle leggi in sé ma non sono legge a se stessi. Le leggi e i valori naturali non sono frutto del loro sforzo e della loro comprensione ma provengono dal Creatore e per di più non potrebbero mai essere in contrasto con la fede, essendo Dio l’unico autore tanto di questa quanto della ragione. Non significa autonomia dal Creatore, perché la creatura così svanirebbe. 

Potremmo chiederci però: e rispetto al Redentore? Ci sarebbe un’autonomia delle realtà temporali rispetto alla fede e quindi alla religione? Alcuni interpreti, molti, direbbero di sì. Autonomia consisterebbe nel tenere fuori la religione. Gesù – e la stessa Chiesa quando amministrava un potere temporale – disse di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è Suo, cioè di distinguere le due sfere, quella politica e quella religiosa, di non confonderle, fino ad assorbire, sempre e comunque, quella religiosa in quella politica. 

Ma se la fede in Cristo, unico Salvatore degli uomini, ci dice che il Redentore è identico al Creatore come la mettiamo? Qui si può intravvedere la bontà e la plausibilità di una regalità sociale di Cristo, ma il discorso ci porterebbe altrove. Se Colui che ha creato l’uomo è lo stesso che lo ha redento, non dovrà forse dirci anche come regolare il nostro comportamento da credenti vivendo in questo mondo? Potrebbe la fede essere separata dalla ragione? E la ragione dalla fede? Evidentemente no. E questo no bisogna che lo si faccia udire a tanti cattolici, che fanno della Costituzione la loro Bibbia e della Bibbia, o meglio del Concilio Vaticano II, la loro Costituzione. È questa confusione su cos’è la fede nella Chiesa e per la Chiesa che produce confusione in politica tra i cattolici. La confusione sgretola l’unità tra fede e ragione, tra fede e vita. E i principi immutabili vengono venduti all’asta a chi offre di più.

p. Serafino M. Lanzetta, FI

lunedì 21 gennaio 2013

L'ecumenismo e il Concilio Vaticano II. Risultati e problemi aperti



Sul sito www.conciliovaticanosecondo.it, p. Serafino M. Lanzetta ha pubblicato un articolo sull'ecumenismo e il Vaticano II, tracciando una panoramica dei risultati finora raggiunti e dei problemi ancora aperti. 

Che il Signore conceda alla sua Chiesa, per intercessione della Vergine Immacolata, il dono dell'unità visibile di tutti i suoi discepoli cum Petro e sub Petro. Amen!







1) Il movimento ecumenico 

a) Il movimento ecumenico nasce agli inizi del XX secolo fuori della Chiesa cattolica. Nel 1948 si giunge alla creazione in Amsterdam del Consiglio Mondiale delle Chiese (WCC), a cui però non prende parte la Chiesa cattolica in ragione della scorretta ricerca dell’unità da questi perseguita. 
Con la creazione del Segretariato per l’Unità dei Cristiani (1960) da parte del b. Giovanni XXIII cambia l’atteggiamento di reticenza verso questo movimento e, in qualche modo, lo sforzo di unità perseguito, sorto «per grazia dello Spirito Santo», è “recepito” nel Vaticano II. Dice infatti il proemio di Unitatis redintegratio (UR) n.1: 


«Ora, il Signore dei secoli, il quale con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l'interiore ravvedimento e il desiderio dell'unione. Moltissimi uomini in ogni dove sono stati toccati da questa grazia, e tra i nostri fratelli separati è sorto anche per grazia dello Spirito Santo un movimento che si allarga di giorno in giorno per il ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo movimento per l'unità, che è chiamato nuovamente ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e confessano Gesù come Signore e Salvatore, e non solo presi a uno a uno, ma anche riuniti in comunità, nelle quali hanno ascoltato il Vangelo e che essi chiamano la Chiesa loro e la Chiesa di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano a una Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata al mondo intero, perché questo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio»...



domenica 20 gennaio 2013

"Fate quello che Egli vi dirà". In Maria la Chiesa è sposa



Ascolta l'omelia di P. Serafino M. Lanzetta, nella seconda Domenica del Tempo Ordinario, anno C.



Il Vangelo della II Domenica del T. O. anno C mette in evidenza la terza epifania del Signore, il miracolo di Gesù alle nozze di Cana (Gv 2,1-11). Questa “manifestazione” della gloria di Cristo, mediante la quale i discepoli credono in Gesù, ha un carattere sponsale. Già il profeta Isaia sottolinea questa dimensione sponsale di Dio con il suo popolo. Anche la terra scelta da Dio, la sua porzione, partecipa di questo amore di predilezione, sarà detta “terra sposata”. 

Nel Vangelo questa promessa si compie. Dio sposa l’umanità redenta nel sangue del Figlio. La sponsalità però passa dalla stadio comunitario a quello personale: Gesù redime ogni anima. Dunque vi è una nuova sponsalità, in cui i protagonisti sono Gesù e Maria. In che senso? La Madre dice al Figlio: «Non hanno più vino». E il Figlio di rimando: «Che c’è tra me e te o Donna? Non è ancora giunta la mia ora». Questa risposta nella sua misteriosità svela un ricco contenuto. 

Maria chiede al Figlio di rivelarsi quale Messia atteso e di far iniziare la sua ora, che si compirà sul Calvario. I due momenti sono legati dal termine “Donna”, rivolto alla Madre. Maria è la corredentrice unita al Figlio. E’ la vera, la nuova Eva, che coopera con Gesù e che sarà presente poi ai piedi della Croce, per la sua offerta sacrificale del Figlio. Maria è qui per la Chiesa, come suo compimento e prefigurazione più perfetta. Cristo è lo Sposo, Maria la Sposa, la Donna. 

A Cana Gesù si fa riconoscere quale Salvatore e Maria dice a tutti noi: Fate quello che Egli vi dice. Viviamo questa sponsalità d’amore col Figlio suo.