martedì 8 febbraio 2011

L’iniziativa dei teologi tedeschi “Chiesa 2011”: rinnovamento o demolizione della Chiesa?

Il 3 febbraio scorso, un gruppo di 143 teologi e teologhe di diverse facoltà di teologia cattolica tedesche, hanno scritto un "Memorandum" (Promemoria), nel quale si propone alla Chiesa del 2011 un nuovo inizio. Quale inizio? Meglio dire la sua fine. Infatti, il "Memorandum", commette un abuso gravissimo, partendo dagli scandali sessuali nella Chiesa tedesca: questo dovrebbe rassegnarci a rifiutare una "morale doppia" ed abolire così il celibato dei sacerdoti, ammettere le donne al sacerdozio ministeriale e gli omosessuali al matrimonio. Così il dialogo dovrebbe andare verso una democraticizzazione della Chiesa. Purtroppo il numero di questi teologi che, più che esprimere la teologia cattolica si fanno paladini di un'anti-Chiesa, di una "sinagoga di satana", oggi è lievitato già a 208 e forse crescerà ancora. A questo Promemoria risponde Don Manfred Hauke, docente di teologia dogmatica alla Facoltà Teologica di Lugano. Hauke fa notare ai teologi del dissenso (dalla fede e dalla Chiesa), che le soluzioni proposte, sono semplicemente ideologiche, distruggono la fede e non risolvono i problemi di cui gli scandali sessuali rappresentano semplicemente un pretesto.

Il Memorandum è stato pubblicato qui. La riposta di Hauke è pubblicata oggi sul "Die Tagespost". Di seguito ne offriamo ai lettori una traduzione italiana.


Il 3 febbraio 2011, un noto quotidiano tedesco, la “Süddeutsche Zeitung”, ha pubblicato un promemoria (“Memorandum”) firmato da 143 teologi di lingua tedesca sotto il titolo “Chiesa 2011: una partenza necessaria” (“ein notwendiger Aufbruch”). Le richieste ricordano per molti aspetti la cosiddetta “Dichiarazione di Colonia” del 1992 e l’iniziativa “Noi siamo Chiesa” del 1995. La Facoltà teologica più rappresentata tra i firmatari è quella di Münster, con 17 teologi, tra cui il decano Klaus Müller; una teologa di Münster fa parte del comitato di redazione del promemoria (secondo M. Drobinski, “Theologen gegen den Zölibat”, Süddeutsche Zeitung, 3.2.2011). Anche una richiesta molto specifica rinvia all’influsso di Münster, quella di costituire dei tribunali amministrativi per la Chiesa (Klaus Lüdicke). Perciò potremmo chiamare il testo tranquillamente la “Dichiarazione di Münster” (DM).

Come occasione della DM, i suoi firmatari indicano il dibattito pubblico sull’abuso sessuale nell’anno scorso. Cercando le “cause dell’abuso, del tacere e della morale doppia”, sarebbe “cresciuta la convinzione che sono necessarie delle riforme profonde”. L’invito dei Vescovi tedeschi al “dialogo” avrebbe suscitato delle attese che bisognerebbe accogliere. I teologi vogliono fare del 2011 un “anno di partenza” affinché la Chiesa possa uscire “da strutture fossilizzate”. Il “dialogo aperto” deve comprendere sei “campi di azione”: (1) Occorrono “più strutture sinodali” a tutti i livelli della Chiesa” secondo il principio “Ciò che riguarda tutti, va deciso da tutti”. (2) La vita della comunità avrebbe bisogno per la sua conduzione di strutture più democratiche (per la guida). “La Chiesa ha anche bisogno di preti sposati e di donne nel ministero ecclesiale”. (3) Un primo passo per una migliore “cultura del diritto” sarebbe “la costituzione di una giurisdizione amministrativa” (cioè di tribunali amministrativi). (4) Sotto la voce “libertà di coscienza” si dice: “La grande stima del matrimonio da parte della Chiesa … non richiede di escludere delle persone le quali vivono in maniera responsabile l’amore, la fedeltà e la sollecitudine reciproca in un’unione di persone dello stesso sesso [coppie omosessuali] o come divorziati risposati”. (5) Nello spirito della “riconciliazione” bisognerebbe contrastare “una morale rigorosa senza misericordia”. (6) La liturgia vive grazie alla partecipazione attiva di tutti i fedeli e non dovrebbe essere unificata in maniera centralistica.

Bisogna dare ragione ai firmatari della DM che la Chiesa (di lingua tedesca) subisce una “crisi profonda”. D’altra parte, molti suggerimenti formulati dai teologi firmatari fanno parte di questa crisi e non possono favorire il superamento dei problemi.

Le richieste contenute nel promemoria sono, in buona parte, delle domande ben note provenienti dagli anni `60 e `70 del secolo scorso. C’è un passo “più avanti” nell’impegno a favore della prassi vissuta dell’omosessualità. Il dibattito pubblico sull’abuso sessuale viene strumentalizzato per spingere una Chiesa indebolita verso una situazione che si distacca dalla sua origine apostolica e si avvicina alle correnti liberali del protestantesimo. Secondo le apposite statistiche, la percentuale (deplorabile) dell’abuso sessuale da parte di chierici cattolici è molto più basso a confronto di quanto succede in strutture (paragonabili) dell’ambito secolare (p.es. famiglie, scuole e associazioni sportive) e anche di quanto si sa dei pastori protestanti (nella maggior parte sposati) (vedi i riferimenti in J.M. Schwarz, “Kirche, Zölibat und Kindesmissbrauch”, www.kath.net, 3.2.2010).

I teologi della DM commettono un “abuso con l’abuso” per promuovere delle richieste che sicuramente non possono combattere le cause che si trovano alla base degli abusi stessi. Non si dice che ci vuole la castità per un vero rinnovamento. Non si parla neanche dell’esigenza della conversione. Al contrario: si vuole il riconoscimento da parte della Chiesa della situazione dei divorziati risposati, i quali vivono (secondo le parole di Gesù) nello stato di adulterio (cf. Mc 10,11s par), e persino le coppie omosessuali la cui prassi sessuale, secondo i cataloghi dei vizi nel Nuovo Testamento, porta all’esclusione dal regno di Dio (cf. 1Cor 6,10 ecc.). Qui non si vede solamente l’influsso di una più profonda conoscenza teologica, bensì una perdita di fede e di morale. Gli elementi fondamentali della dottrina apostolica vengono sacrificati ad un pensiero che vuol essere “aggiornato” alla situazione attuale. La richiesta di togliere l’obbligo del celibato ricorda le richieste del tardivo illuminismo sorpassate già da lungo tempo da Johann Adam Möhler e altri protagonisti del rinnovamento cattolico del sec. XIX. Persino agli illuministi delle chiese statali dell’epoca giuseppinista, (però) non sarebbe venuto in mente di svendere i valori del matrimonio cristiano o di favorire dei concubinati omosessuali.

Anche la richiesta di avere “donne nel ministero apostolico” si rivolge contro l’origine apostolica della Chiesa, almeno quando si intende “ministero” nel senso del sacramento dell’Ordine. Va ricordato qui la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II, “Ordinatio Sacerdotalis” (1994), in cui il Papa sottolinea “che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”. Quello che vale per “tutti i fedeli della Chiesa”, vale sicuramente ancora in maniera più forte per i teologi che possiedono una “missio canonica”.

Diamo un breve sguardo alle altre richieste, senza poter dare qui una risposta esauriente. Certamente è importante una “partecipazione” di tutti i fedeli alla vita della Chiesa, ma questa partecipazione è va confusa con le forme politiche della democrazia. Secondo la successione apostolica, la Chiesa è guidata dal Papa e dai Vescovi. Nella Chiesa antica, anche i popolo credente, di solito, prese la sua parte nell’elezione dei Vescovi tramite la sua testimonianza e il suo assenso: questi fedeli, però, erano preparati dalla testimonianza dei martiri all’epoca delle persecuzioni; non era la situazione di oggi in cui circa il 90 percento dei “cattolici” tedeschi non frequenta la Messa domenicale e dipende quasi totalmente dall’influsso dominante dei mass-media i quali, nella stragrande maggioranza, sono decisamente sfavorevoli alla fede cattolica. Le elezioni episcopali, comunque, non erano (delle) decisioni prese del popolo neanche nella Chiesa antica. Secondo Papa Leone Magno, il Vescovo doveva essere eletto dal clero, richiesto dal popolo e ordinato dai Vescovi della provincia con l’assenso del Metropolita. Il principio giuridico citato dalla DM viene originalmente dal diritto privato romano e venne interpretato nel 1958 da Yves Congar nel senso della ricezione all’interno della Chiesa, ma non come democratizzazione del Magistero oppure del ministero di guida (“Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet”); spiegare l’assenso del popolo di Dio come “decisione” oppure come base di “strutture più sinodali”, è il segno di una ideologizzazione fuori dalla storia ecclesiale.

Quanto affermato sulla problematica delle “parrocchie XXL”, riguarda una realtà dolorosa. La soluzione delle difficoltà non sta nel cambiamento delle strutture della Chiesa provenienti da Cristo (come il sacerdozio ministeriale riservato agli uomini e la sua responsabilità specifica per la guida della comunità). Per organizzare bene la vita delle comunità, ci vogliono la prudenza pastorale e l’impegno di tutti, ma nessuna laicizzazione nella guida delle comunità parrocchiali.

La “libertà di coscienza” proclamata dalla DM separa evidentemente la coscienza del soggetto dalla verità oggettiva a cui la coscienza deve orientarsi. Non fa senso applicare la “libertà di coscienza” per approvare delle coppie omosessuali e l’adulterio. Newman parlerebbe qui di un preteso “diritto alla caparbietà” (Lettera al Duca di Norfolk).

La “misericordia” nella morale, menzionata sotto la voce della “riconciliazione”, non va distaccata dall’esigenza di rispettare i divini comandamenti: Dio perdona il peccatore sinceramente pentito, ma fa anche capire (come Gesù nei confronti dell’adultera): “D’ora in poi non peccare più!” (Gv 8,11).

La richiesta della DM d’integrare le “esperienze ed espressioni del tempo contemporaneo” nella liturgia ha già il suo luogo conveniente nell’ordinamento presente, ad esempio nella preghiera dei fedeli e nella omelia. L’accoglienza di “situazioni concrete della vita” non deve oscurare l’importanza della liturgia come glorificazione di Dio, assieme alla Chiesa tutta intera la quale prevede delle forme ben precise per l’espressione comune.

Certamente va salutato il “dialogo” all’interno della Chiesa. Per una discussione legittima tra cristiani cattolici, però, deve essere chiara la condizione previa che sta nella professione comune della fede cattolica. Diversi punti nella DM mettono in questione questa base comune. I firmatari della DM possono sinceramente presentare la “Professio fidei” richiesta come condizione indispensabile per insegnare a nome della Chiesa nelle Facoltà di teologia? I Vescovi responsabili avranno il coraggio d’insistere nei confronti del dissenso sul carattere ecclesiale della teologia?

La prossima visita del Santo Padre in Germania è una grande opportunità per un rinnovamento nella fede cattolica. Il promemoria dei 143 teologi, però, rende triste: non offre nessun contributo per lanciarsi verso un futuro pieno di speranza, bensì una demolizione che mette a repentaglio il tesoro della fede ecclesiale.


Don Manfred Hauke

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