giovedì 1 novembre 2012

La santità come pienezza nell'unità di ragione e amore




Come rispondere a un certo dilemma con cui oggi spesso ci confrontiamo: l’unicità del cristianesimo e la paura di affermarlo fino in fondo correndo il rischio di sentirci intolleranti, fondamentalisti, incapaci di dialogo? 



La santità è armonia nella vita di ragione e amore, fede e carità. Con Guglielmo di Sant-Thierry (monaco cistercense del XII sec.) possiamo dire che la natura dell'amore non è soltanto sentimento ma vi partecipa anche la ragione. Questo grande monaco medioevale, identificando la carità con la vista posseduta dall'anima per vedere Dio, afferma che i nostri due occhi sono «l'amore e la ragione. Se uno dei due opera senza l'altro, non andrà lontano. Possono però molto soccorrendosi a vicenda, diventando un solo occhio».

E continua: 

«Il compito della ragione sta nell'istruire l'amore, mentre il compito dell'amore è d'illuminare la ragione, così che la ragione divenga essa stessa amore e l'amore non oltrepassi i confini della ragione». 

Il rapporto fra l'uomo e Dio è essenzialmente un rapporto d'amore. Dice ancora Guglielmo di Sant-Thierry: 

«Tu ci ami in quanto fai di noi tuoi amanti e noi ti amiamo in quanto riceviamo il tuo Spirito. Il tuo Spirito è il tuo amore che penetra e possiede le intime fibre dei nostri affetti [...] Mentre il nostro amore è affectus, il tuo è effectus, un'efficacia che ci unisce a te grazie alla tua unità, allo Spirito santo che ci hai donato». 

La santità è proprio questo amore di Dio in noi. È l’amore di Dio incarnato nella propria vita. Questo è reso possibile dal mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, il quale facendosi uomo ci permette di salire per mezzo di Lui, in Lui, fino a Dio. E Dio, che è il tutto, è riconoscibile solo nell'unità di ragione e amore, fede e carità. La santità è unità di vita, è pienezza.


Padre Lanzetta: "Ecco i nodi da sciogliere del Vaticano II" (seconda parte)



(di Mauro Faverzani su www.conciliovaticanosecondo.it) 

Sono diversi i nodi ancora da sciogliere a 50 anni dal Concilio Vaticano II: ad esempio, distinguere ciò che è dottrinale da ciò che è pastorale; spiegare la diversità dei documenti ed i diversi livelli di insegnamento; chiarire quali siano le dottrine nuove che il Vaticano II ha voluto proporre e capire come porle in continuità con la Tradizione. Di questo e di molto altro parla nella seconda parte di quest’intervista, concessa a Mauro Faverzani, Padre Serafino Lanzetta dei Frati dell’Immacolata,docente di Teologia Dogmatica presso il Seminario Teologico “Immacolata Mediatrice” dei Francescani dell’Immacolata ed autore del libro “Iuxta modum”, dedicato proprio a questo Concilio.


martedì 30 ottobre 2012

"Tutto è diventato così avvizzito". Il filosofo Spaemann a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II


In una recente intervista rilasciata da Robert Spaemann al giornale Die Welt (26 ottobre 2012), il filosofo tedesco spiega perché a suo giudizio non c'è motivo, a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, per una celebrazione giubilare: "tutto infatti è divenuto così avvizzito... È subentrata nella Chiesa un'epoca di decadenza. Persone che negano la risurrezione di Cristo rimangono professori di teologia e predicano come sacerdoti. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui c'è qualcosa che non va". Vediamo in dettaglio l'intervista in una nostra traduzione:



Die Welt: Lei era a Roma per la celebrazione del giubileo del Concilio Vaticano II. Per lei personalmente è stato un motivo di festeggiamento?

Robert Spaemann: In verità no. Innanzi tutto si deve poter dire apertamente che è iniziata un'epoca di decadenza. Una celebrazione giubilare non può assolutamente ignorare il fatto che migliaia di sacerdoti già durante il Concilio hanno lasciato il loro ministero.

Die Welt: Qual è la responsabilità del Concilio a tal proposito?

Robert Spaemann: Il Concilio si inserì in un movimento diffusosi all’intero Occidente che partecipò alla cultura della rivoluzione. Papa Giovanni XXIII disse allora che il fine del Concilio era l'aggiornamento della Chiesa. Questo fu tradotto da molti con adattamento, adattamento al mondo. Ma fu mal interpretato. Aggiornamento significa: attualizzare ai tempi moderni l’opposizione che la Chiesa ha avuto, e sempre deve avere, nei confronti del mondo. Questo è il contrario di adattamento.

Die Welt: Però Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura del Concilio ha risvegliato le attese e ha lasciato intendere che si trattasse di adattamento.

Robert Spaemann: Questo è vero. Giovanni XXIII era un uomo profondamente devoto. Ma lo caratterizzava un ottimismo tale che definirei quasi scellerato. Tale ottimismo non era giustificato. Del resto, la prospettiva storica cristiana è conforme a quella del Nuovo Testamento: alla fine ci sarà una grande apostasia, e la storia si scontrerà con l'Anticristo. Ma di questo il Concilio non ne parla. Si è eliminato tutto ciò che allude a liti o conflitti, finanche nei libri dei canti liturgici. Si è voluto benedire lo spirito del mondo emancipatore e culturalmente rivoluzionario.

Die Welt: Se in Germania, come è successo all'inizio dell'anno, un tribunale stabilisce che la Chiesa cattolica può essere definita un’impunita “setta di pedofili”, nessuno protesta. Questo anche ha a che fare con lo spirito del Concilio Vaticano II?

Robert Spaemann: Sì. Il Concilio ha indebolito i cattolici. La Chiesa si è sempre trovata in lotta, una lotta spirituale, non militare, ma pur sempre una lotta. L'Apostolo Paolo parla delle armi della luce, dell'elmo della fede ecc. Oggi la parola “nemico” è diventata indecente, lo stesso comandamento “Amate i vostri nemici” non ha più senso perché non siamo più autorizzati ad avere nemici. Per i cosiddetti cattolici progressisti vi è in realtà ancora un solo nemico: i tradizionalisti. Questa sì che è un'eredità del Concilio. Certamente noi cristiani non dovremmo usare nessuna violenza per le offese arrecate alla nostra fede e alla Chiesa. Ma protestare dovrebbe essere possibile. 

Die Welt: I testi che il Concilio ha approvato dopo lunghe discussioni sono vaghi compromessi. Chi ha vinto, riformatori o tradizionalisti?

Robert Spaemann: Nessuno dei due. Entrambi gli schieramenti hanno agito al Concilio come fazioni politiche. Questo vale soprattutto per il partito dei progressisti. Quando prevedevano che su una proposta di risoluzione non avrebbero ottenuto la maggioranza, introducevano nella formulazione di compromesso alcune clausole generali, che gli avrebbero permesso, dopo il Concilio, di rendere le risoluzioni più malleabili. Hanno spesso lavorato in modo cospirativo. E ad oggi hanno ancora la prerogativa dell'interpretazione del Vaticano II. Ma gradualmente sta prendendo piede una nuova coscienza. Lentamente la smettiamo di prenderci in giro. Tutto è diventato così avvizzito: uomini che negano la risurrezione di Cristo rimangono professori di teologia cattolica e possono predicare in quanto sacerdoti durante le Messe. Fedeli invece che non vogliono pagare la tassa per il culto (in Germania, ndt) vengono cacciati dalla Chiesa. C’è qualcosa che non va.

Die Welt: Cosa intende quando dice che i novatori avrebbero la prerogativa di interpretazione sul Vaticano II? 

Robert Spaemann: Le dò tre esempi. Oggi viene spesso detto che per poco il Concilio non ha abolito il celibato. Bisognerebbe però portare a compimento gli approcci precedenti. Perché mai prima alcun Concilio ha difeso il celibato con così tanto vigore.
Secondo esempio. I vescovi tedeschi hanno annunciato nella cosiddetta dichiarazione di Königstein che l'insegnamento della Chiesa in materia di “pillola” non è vincolante. Il Concilio aveva detto esattamente il contrario, ovvero che l'insegnamento della Chiesa su questa questione obbliga in coscienza i cattolici.
Terzo esempio: tutti sanno che il Concilio ha autorizzato la lingua volgare nella liturgia. Nessuno però sa che il Concilio ha soprattutto ribadito che la lingua propria della liturgia della Chiesa occidentale è e riamane il latino. E Papa Giovanni XXIII ha appositamente scritto un'enciclica sul significato del latino per la Chiesa occidentale.

Die Welt: Cos’è che la disturba innanzitutto?

Robert Spaemann: Non penso a singole decisioni ma principalmente a ciò che veramente è accaduto durante il Concilio. Forse si dovrebbe ricominciare a leggere i testi originali. Già alla fine del Concilio, come scrive Joseph Ratzinger, è emerso come uno spettro, ciò che è stato chiamato lo “spirito del Concilio” il quale, solo molto condizionatamente, aveva a che fare con le decisioni fattuali. Spirito del Concilio significa: volontà di innovazione. Fino ad oggi i cosiddetti riformatori si richiamano allo spirito del Concilio per giustificare tutte le possibili idee di riforma e con questo intendono adattamento. Oggi però abbiamo bisogno del contrario della “mondanizzazione della Chiesa”, che già Lutero deplorava. Abbiamo bisogno di ciò che il Papa chiama la “fine della mondanizzazione” (Entweltlichung).

Die Welt: Lei ha scritto: “L'autentico progresso rende talvolta necessarie correzioni di rotta e in talune circostanze anche passi indietro”. Ma come può la Chiesa invertire rotta?

Robert Spaemann: Fondamentalmente deve fare quello che ha sempre fatto: deve sempre tornare indietro. La Chiesa vive della vita dei Santi, che sono i modelli di vera conversione. Non è accettabile che la Chiesa in Germania, a cui appartiene la casa editrice "Weltbildverlag", si mantiene da anni mediante la vendita di materiale pornografico. Per dieci lunghi anni i cattolici hanno informato di questo i vescovi e non è successo niente. Ora che tutto è venuto alla luce, il segretario della Conferenza Episcopale Tedesca ha tacciato con disprezzo questi fedeli di fondamentalisti. Che questa prassi di commercio sia stata introdotta ha ben poco a che fare con una reale inversione di rotta.



Fonte: Die Welt
Vedi anche la notizia su: www.kath.net

lunedì 29 ottobre 2012

Potete bere il mio calice? La vera gloria passa per la Croce di Cristo



La vera gloria passa per la Croce del Signore. Il Santo Vangelo di Domenica 21 ottobre 2012, Mc 10,32-45, raccontava l'episodio di Giacomo e Giovanni che chiedono a Gesù un posto nel suo Regno.
Il Signore invita Giacomo e Giovanni a pensare alla vera gloria, la quale non consiste nel pensare in modo umano a una sicurezza, alla destra e alla sinistra di Gesù, ma nel partecipare al mistero della sua passione e morte. Solo così si è capaci di morire con Cristo e di risorgere poi con Lui alla vita nuova. Solo così si entra nel suo Regno. Siamo anche noi disposti a seguire il Signore, a bere il suo calice versato per molti, in riscatto dei peccati? E così ottenere un posto accanto a Lui, nel suo Cuore?