sabato 25 dicembre 2010

Auguri di un Santo Natale e di un Nuovo Anno ricco di grazie


Nella solennità del S. Natale del Signore, vogliamo rivolgere ai nostri lettori l'augurio più sincero di vivere ogni giorno il mistero che nella fede celebriamo: la santa Eucaristia è il mistero sempre presente e reale della Nativitas Domini. Pubblichiamo di seguito l'omelia che il P. Serafino M. Lanzetta ha rivolto ai fedeli della Chiesa di Ognissanti, nella notte di Natale.



S. Natale – Messa della Notte 2010


Dio ha preso la nostra natura umana. Dio si è fatto uomo. Così ci fa pregare la liturgia nella preghiera sulle offerte di questa Santa Notte di Natale:

Grata tibi sit, Dómine, quæsumus, hodiérnæ festivitátis oblátio, ut, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia. Qui vivit et regnat in sæcula sæculórum.

Ti sia gradita Signore l’oblazione di questa odierna festività, affinché, per questo sacrosanto commercio, troviamo la forma (siamo formati), in Colui che con te è la nostra sostanza. Colui che vive e regna nei secoli dei secoli.

La liturgia, suprema lode al Creatore e al Signore, ci invita, in questa notte dove regna il silenzio dei rumori, a trovare la nostra forma in Cristo: in questo misterioso scambio della nostra umanità con la sua divinità, possiamo diventare simili a Cristo che ha portato in Dio la nostra sostanza, quello che noi siamo. Lui prende la nostra umanità e ci dona la sua divinità. In questo “commercio” che è un’oblatio noi siamo formati, ci è data una forma, possiamo ritrovare nuovamente noi stessi.

Non è forse vero che una mancanza di identità colpisce oggi la nostra società e la nostra cultura? Oggi non abbiamo più una forma. Abbiamo smarrito quello che siamo. Mancano i valori morali fondamentali dell’uomo in quanto tale; valori condivisi da tutti perché possiamo continuare a sperare di essere domani quello che siamo oggi. In un certo senso, si è oscurata in noi la forma di uomini, o meglio è stata ricoperta da un nuovo modo di essere: essere senza più quello che siamo, liberi anche di non essere, liberi anche di cambiarci, di cambiare le cose che ci appartengono, come ad esempio la famiglia, i rapporti di lavoro: viviamo in una continua agitazione e confusione.

Anche la Chiesa rischia di vivere senza una forma, quando tanti cattolici, che sono membra vive di quest’unico Corpo di Cristo, non si riconoscono più in quella forma del credere e del pregare di sempre; hanno bisogno di cambiare, di adattare a sé la fede e di credere nel modo che fa più comodo. Molto spesso però la nostra preghiera è vuota, è un parlare con noi stessi, con i nostri affanni. Abbiamo smarrito il vero e santo dialogo con Dio, perché la nostra vita di fede non ha una forma cattolica, non ha più un’anima.

Ma a monte di questi smarrimenti, regna un problema capitale, una domanda che se non risposta nel modo giusto rischia di lasciarci sempre ai margini: Dio si può fare veramente uomo? Veramente Dio è diventato uomo?

Interroghiamo due testimoni dei primi secoli e così potremo capire come sia necessario rispondere a questa domanda, perché da essa, dal Natale, dipende il ritrovare la nostra forma.

Il primo è un filosofo pagano del II sec. di nome Celso. Nel 178 tenne un famoso Discorso della verità contro il cristianesimo, nel quale si faceva beffa dei cristiani, per il fatto che credevano in un Dio fatto uomo. Per lui, dotto, Dio non poteva diventare uomo, sarebbe stato indegno di un Dio. D’altronde Cristo, aveva scelto degli illetterati, ed era addirittura, come lui pensava, figlio di un adulterio di Maria (ripudiata dal marito) con un soldato romano di nome Pantera (scambiando il sostantivo greco parthenos, che significa vergine, con un nome di un soldato). Per Celso Cristo era un povero uomo e Dio non era quel Cristo, Dio non era conoscibile in quel Cristo.

L’altro autore dei primi secoli, precisamente del III secolo, questa volta però un prete alessandrino, è Ario, il quale metteva in discussione la divinità di Cristo: Cristo non poteva essere Dio, perché partiva dalla filosofia platonica secondo cui Dio era ingenerato (aghénnetos). Per lui Cristo dunque era un dio inferiore ma un uomo superiore: una via di mezzo tra Dio e l’uomo, in definitiva né Dio né uomo.

Questi due autori sebbene diversi perché uno era ateo, potremmo dire oggi, e l’altro credente, sacerdote e teologo, hanno qualcosa in comune: la sfiducia nella grandezza di Dio, il quale proprio perché Dio, poteva diventare uomo. Preferiscono un Dio intoccabile, inarrivabile, un Dio lontano da noi, un Dio in definitiva più conveniente. Con la loro ragione non riescono a vedere questo grande mistero del sacrum commercium; i loro occhi erano appannati forse dalla superbia, che gli impediva di vedere oltre, di concepire un Dio che per amore si abbassa e così ci esalta. La superbia, infatti, è la causa, oggi, dello smarrimento della nostra forma cristiana. Non abbiamo più l’umiltà di considerarci piccoli e bisognosi di Dio. Noi vogliamo metterci al posto di Dio e perciò non sappiamo più riconoscerlo in questo Bambino. Ma chi non vede questo Bambino e non lo riconosce quale Figlio di Dio, Dio uguale al Padre, presto non riconoscerà neppure le cose più importanti della vita, come la vita di un bambino che nasce. Chi non sa vedere questa umiltà di Dio, presto pretenderà di mettersi al suo posto e di decidere in modo arbitrario e disumano cosa è la vita e cosa è la morte. Senza l’umiltà siamo difformi da quello che siamo e non sappiamo più vedere Dio in questo Bambinello. Ma solo Lui ci salva, solo in Lui troviamo la nostra vera identità, la nostra forma.

Solo se Dio è onnipotente, il Figlio di Dio può diventare uomo; solo se Dio è amore l’uomo può diventare come Dio, formato nella sostanza del Figlio che è uno col Padre e lo Spirito Santo. Amen.

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