mercoledì 10 ottobre 2018

Alla radice della presente crisi della Chiesa


Il seguente articolo è stato pubblicato sul blog del vaticanista Sandro Magister ed è disponibile anche in altre lingue: 



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di P. Serafino M. Lanzetta

La Santa Madre Chiesa è dinanzi a una crisi senza precedenti in tutta la sua storia. Abusi di ogni tipo, specialmente nella sfera sessuale, sono sempre esistiti tra il clero. Tuttavia, l’epidemia corrente è atipica in ragione dell’intersecarsi di una crisi morale e di una dottrinale, le cui radici sono più profonde del semplice comportamento scorretto di alcuni membri della gerarchia e del clero. Bisogna raschiare la superficie e scavare più in profondità. La confusione dottrinale genera il disordine morale e viceversa; gli abusi sessuali hanno prosperato per tanti anni sotto la copertura della noncuranza, al punto di riuscire a trasformare in modo silenzioso la dottrina relativa alla morale sessuale in un fatto semplicemente anacronistico.
Senza dubbio, come ha detto il vescovo inglese Philip Egan di Portsmouth, questa crisi si dipana su tre livelli: “primo, un presunto catalogo di peccati e di crimini commessi contro i giovani da parte di membri del clero; secondo, i circoli omosessuali centrati attorno all’arcivescovo Theodore McCarrick, ma presenti anche in altre aree della Chiesa; quindi, terzo, la cattiva gestione e la copertura di tutto ciò da parte della gerarchia fino ai circoli più alti”.
Quanto lontano dovremmo andare per identificare le radici di questa crisi? Possiamo considerare, tra l’altro, in modo essenziale due cause morali quali radice principale. Una è legata in modo remoto al problema odierno che affligge la Chiesa, l’altra in modo prossimo.
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La prima causa può essere individuata nell’opposizione all’interno della Chiesa all’enciclica “Humanae vitae”. Obiettando contro l’indissolubile alleanza tra il principio unitivo e quello procreativo del matrimonio, si faceva strada al tollerare ogni altra forma di unione, giustificandola in nome dell’amore. L’amore doveva essere posto prima e al di sopra della fissità della natura. La contraccezione sarebbe stata vista come un mezzo morale legittimo mediante il quale salvaguardare la priorità della responsabilità dell’uomo rispetto alla legge di Dio, sia naturale che soprannaturale.
In realtà, lo scenario che si apriva fu abbastanza diverso.  Difatti, se la procreazione non era più il fine primario del matrimonio, bisognava non solo separarla dall’amore, ma, al contrario, l’amore doveva essere separato dalla procreazione, fino a giustificare una procreazione senza unione quale logica conclusione di un amore senza procreazione. Un amore sterile, isolato dal suo contesto naturale e sacramentale, fu spinto forzosamente nella società e nella Chiesa.
Era in gioco l’identità dell’amore. Come recentemente sottolineato dal vescovo Kevin Doran, presidente della commissione di bioetica della conferenza episcopale irlandese, c’è una “connessione diretta tra la ‘mentalità contraccettiva’ e un numero sorprendentemente così alto di persone che sembrano pronte a ridefinire il matrimonio oggi come relazione tra due persone senza distinzione di sessi”. Egli ha anche aggiunto che se l’atto dell’amore può essere separato dal suo fine procreativo, “allora è anche abbastanza difficile spiegare perché il matrimonio deve essere tra un uomo e una donna”.

La crisi attuale della Chiesa è da un lato la manifestazione di una crisi di identità sessuale, una ribellione ideologica contro il magistero ancorato a una perenne tradizione morale; dall’altro, l’incapacità di guardare al vero problema, cioè, l’omosessualità e i circoli omosessuali tra il clero. Più dell’80 per cento dei casi di abusi sessuali noti commessi dal clero, infatti, non sono casi di pedofilia ma di pederastia. La convinzione che ogni forma di amore deve essere accettata è diventata un luogo comune è ciò in ragione dell’aver allentato il divieto della contraccezione, anche senza cambiare le formule dogmatiche. La vera essenza del Modernismo consiste nel cambiare la teoria con la prassi, abituando le persone agli usi accettati dalla maggioranza.
“Humanae vitae” fu oggetto di una protesta mai vista prima, sollevata dall’interno della Chiesa. Un libro intitolato “The Schism of ’68” descrive tra le altre cose come i cattolici si battevano per un aggiornamento sessuale. “Aggiornamento” era una delle parole-chiavi per interpretare il Vaticano II e i suoi documenti.
Cardinali, vescovi ed episcopati presero attivamente parte in questa ribellione. Il primate del Belgio, cardinale Leo Joseph Suenens, dopo la pubblicazione dell’enciclica riuscì a far pubblicare dall’intero episcopato belga una dichiarazione in opposizione a “Humanae vitae” in nome di una supposta libertà di coscienza. Questa dichiarazione, insieme con quella formulata dall’episcopato tedesco servì da modello per la protesta di altri episcopati. Il cardinale John C. Heenan di Westminster descrisse la pubblicazione dell’enciclica di papa Giovanni Battista Montini sulla trasmissione della vita come “il più grande shock dal tempo della Riforma”. Il cardinale Bernard Alfrink, insieme con nove altri vescovi olandesi, votò perfino a favore di una dichiarazione di indipendenza, la quale invitava il popolo di Dio a rigettare il divieto della contraccezione.
In Inghilterra, più di 50 sacerdoti firmarono una lettera di protesta pubblicata sul “Times”. Tra questi sacerdoti c’era anche Michael Winter, il quale, descrivendo la sua decisione di lasciare il sacerdozio, disse che fu scatenata dalla crisi su “Humanae vitae”. Winter poi si sposò e nel 1985 pubblicò un libro dal titolo “Whatever happened to Vatican II?”, allo scopo di risuscitare l’insegnamento conciliare da ciò che lui percepiva come suo affossamento da parte delle autorità romane. Forse era convinto che la radice della contraccezione, quantunque percepita come supremazia dell’amore, era da ritrovarsi nell’insegnamento del Vaticano II. Winter è anche membro fondatore del Movimento per un clero sposato. Ciò che è veramente sorprendente – Winter non è il solo caso – dal punto di vista del clero è il dramma che alcuni di loro vissero quando, con parole loro, il peso del divieto della contraccezione fu messo sulle spalle dei laici. Come potevano veramente capire – se proprio era tale – una tale sofferenza?
Tuttavia, il punto qui è un altro: se una protesta “ufficiale” contro “Humanae vitae”, guidata da cardinali e vescovi, fu ritenuta legittima in ragione della sua armonia con l’ideologia del momento – non dimentichiamo che in quegli anni il movimento del ’68 era intento a sovvertire la morale cristiana in nome del sesso libero – allora è difficile non vedere perché una mentalità “ufficiale” che giustifica l’omosessualità nel clero e ogni tipo di unione sessuale non avrebbe potuto prendere il sopravvento e un giorno diventare maggioritaria.
“Se la questione è davanti alla barra della coscienza”, come scrisse Tom Burns sul “Tablet” del 3 agosto 1968 (lo stesso editoriale è stato ripubblicato il 28 luglio 2018), ci può sempre essere una coscienza che rigetta la barra come tale. Una coscienza senza la previa illuminazione della verità è come una barca sballottata dalle onde del mare. Prima o poi affonda. La sola coscienza – cioè una coscienza senza la verità – non è coscienza morale. Essa deve essere educata al fine di conseguire il bene e rigettare il male.
Non è un mistero che coloro che sono a lavoro per seppellire definitivamente “Humanae vitae” gioiscono alla promulgazione di “Amoris laetitia”, come se fosse stato finalmente colmato il vuoto dell’amore nell’insegnamento della Chiesa. Un certo sforzo teologico attuale mira a superare “Humanae vitae” con “Amoris laetitia” in modo che questo recente insegnamento di papa Francesco sull’amore nella famiglia sia direttamente legato a “Gaudium et spes” senza nessun riferimento ad “Humanae vitae” e a “Casti connubii”. La tentazione di isolare il Vaticano II rispetto all’intera tradizione della Chiesa è ancora forte. Ma come alla “sola coscienza”, così accade anche a un singolo documento del magistero come “Gaudium et spes” e “Amoris laetitia”. Nessun documento può essere letto alla luce di se stesso, ma solo alla luce dell’ininterrotta tradizione della Chiesa.
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Dopo un’accesa ribellione, cominciò il silenzio della dottrina. E così veniamo alla radice prossima di questo scandalo: la copertura della dottrina del peccato. La parola “peccato” iniziò a scomparire già dalla predicazione post-conciliare. Il peccato, quale separazione da Dio e offesa contro di lui per ripiegarsi sulle creature, fu ignorato. Questo straordinario vuoto lasciato dalla dottrina del peccato fu riempito da valutazioni psicologiche di una multiforme condizione di debolezza nell’uomo. La teologia spirituale fu sostituita con la lettura di Freud e Jung, veri maestri di molti seminari. Il peccato divenne irrilevante, mentre l’auto-stima e il superamento di ogni tabù, specialmente nella sfera sessuale, divennero le nuove password ecclesiastiche.
D’altra parte, una nuova teologia della misericordia, specialmente quella promossa dal cardinale Walter Kasper, ha favorito una nuova visione della misericordia di Dio quale attributo intrinseco dell’essenza divina (se è così, c’è allora un perdono divino di Dio con Se stesso, dal momento che la misericordia richiede il pentimento e il perdono?) così da superare la giustizia punitiva trasformandola in un amore sempre-perdonante. In questa nuova definizione, la punizione eterna nell’inferno ha ancora qualcosa da dire? La misericordia è diventata un surrogato teologico per coprire (e insabbiare) il peccato, ignorandolo e accogliendolo sotto il manto del perdono. L’idea di Lutero circa la giustificazione non è lontana da questo modo di vedere.
Sarebbe interessante chiedere a coloro che tra il clero commettono questi crimini orribili cosa pensano del peccato. La parola della Sacra Scrittura “… coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne, con i suoi vizi e le sue concupiscenze” (Galati 5, 24), potrebbe apparire facilmente come moralità vecchio stampo, non perché le Parola di Dio sia sbagliata o non ispirata dallo Spirito Santo, ma semplicemente perché proporre un tale insegnamento alla società di oggi sarebbe meramente anacronistico, fuori moda. Lo spirito del mondo – spesso mescolato a un supposto “spirito del Concilio” – ha soffocato la vera dottrina della fede e della morale.
È anche il clericalismo una radice di questa crisi di abusi sessuali? Papa Francesco l’ha ripetuto più volte. Certamente è il potere clericale che si brandisce nella schiavizzazione sessuale di seminaristi e di uomini in formazione. Però è molto difficile capire come il clericalismo possa spiegare la predazione di generazioni di seminaristi se l’omosessualità non gioca nessun ruolo. Sarebbe come dire che un gran bevitore è sempre ubriaco non perché abbia un’abitudine al bere, ma perché ha molti soldi che può spendere nel comprarsi tutto l’alcool che vuole.
Il clericalismo non può essere l’unica risposta, anche perché c’è un’altra sua forma – più sottile, ma spesso ignorata – che è di gran lunga peggiore: fare uso del proprio potere clericale per pervertire la buona dottrina. Il clero facilmente si inventa proprietario del Vangelo, prendendosi licenze di dispensare dai precetti di Dio e della Chiesa secondo la teologia del momento. Quando non ci si attiene più alla retta dottrina della Chiesa, si cade facilmente nel burrone del mero divertimento e del peccato. Al contrario, una vita di peccato senza la grazia di Dio che santifica è il miglior alleato nella manipolazione della dottrina. Dottrina di fede e vita morale vanno sempre insieme.
A modo di sintesi: la radice principale di questo scandalo gravissimo è il modernismo, che oggi è già diventato un post-modernismo. Dal favorire il cambiamento delle formule dogmatiche con lo scorrere del tempo, siamo passati a ignorarle completamente. La dottrina è al sicuro come un libro importante su uno scaffale molto polveroso, ma non ha nulla da dire al palpito della vita quotidiana.
Non ci dovrebbe essere più nessun dubbio circa la vastità di questa crisi e la necessità di intervenire con un’azione tale da sradicare il male alla radice. Però questa azione drastica, che speriamo possa essere presto all’opera, non sarà efficace se prima di tutto non ritorniamo alla verità dell’amore, capendo sapientemente che la mentalità contraccettiva ha portato solo un rigido inverno demografico con una cultura di morte. La contraccezione è un amore sterile che apre alla possibilità di un amore fuori dal suo contesto, oltre se stesso, immaturo. Un amore morto ora minaccia la Chiesa con una visibile ripercussione negli abusi sessuali e negli scandali del clero. La mentalità del mondo ha avuto un violento impatto sulla vita della Chiesa.
Infine, dovremmo pure ritornare a chiamare le cose con il loro nome. Peccato è ancora peccato. Se non abbiamo la forza di farlo, è già segno che esso ha prevalso. Se invece chiamiamo il peccato con il suo nome, allora si prepara la via a sradicarlo.

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