Se salvarsi l’anima è egoismo, allora i Santi si sono sbagliati

 


di P. Serafino M. Lanzetta


Ancora una riflessione sull’importanza della salvezza dell’anima, da non relegarsi a mera reminiscenza platonica o a superstizione medioevale, bollandola di privatismo salvifico con il tentativo di superarla con un approccio più comunitario e sociale. Se non si salva il singolo uomo, ogni persona, quante più ne sia possibile, la comunità non si si edifica nella carità e la salvezza è diluita in mero inclusivismo. Si respinge così la verità dell’inferno dove ci sono i dannati e non solo i demoni. 


Dopo aver dedicato due precedenti catechesi a questo tema (vedi qui e qui), ora, quasi a modo d’arrivo, interroghiamo i Santi e in particolare San Benedetto da Norcia, fondatore del monachesimo occidentale, Padre dell’Europa e delle sue radici cristiane. 


San Gregorio Magno nei suo “Dialoghi” ci offre la “Vita di San Benedetto” e ci dice che questo venerabile uomo amava abitare «solo con sé stesso». Si ritirò dal mondo per essere solo con Dio. Uscì da sé stesso solo per elevarsi al di sopra di sé, in Dio, e così tutto il mondo fu suo. Vide tutto intero il mondo in un unico raggio di sole, racconta San Gregorio, mentre assisteva alla dipartita verso il Cielo dell’anima di Germano, vescovo di Capua e suo intimo amico. 


Chi si sognerebbe di dire che San Benedetto è stato egoista? Se lo fu, perché mirò alla salvezza della sua anima, allora si è sbagliato. Ma se si è sbagliato San Benedetto allora è il Cristianesimo stesso che è sbagliato.  Conclusione assurda di chi prova a riscrivere questa santa religione con le sue idee molto miopi. 


Meglio però sbagliarsi con San Benedetto, con San Francesco e con tutti gli altri Santi di Dio, piuttosto che essere corretti secondo la mentalità del mondo.



Qui la catechesi in diretta con le domande degli ascoltatori:





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