giovedì 10 giugno 2010

Sacerdote, chi sei?


Un anno di grazia per tutta la Chiesa è stata la celebrazione dell’Anno sacerdotale, dedicato alla riscoperta di un grande mistero: un uomo, scelto e chiamato da Dio ad essere sacerdote (cf. Eb 5,1), diventa tutto dopo Dio, come direbbe il S. Curato d’Ars. Ecco perché S. Giovanni Crisostomo poteva esclamare: «Chi sei o sacerdote? Tutto e niente».
Il sacerdote è un grande mistero. Ciò significa richiamare subito la fede che sola può assentire al mistero che il sacerdote porta nelle sue membra, nel suo essere. Questo significa pure che il primo a dover fare un atto di fede nel sacerdozio è proprio il sacerdote. Quando si tralascia la fede teologale nel sacerdozio e lo si intende alla stregua delle altre funzioni sociali, ecco che si generano numerosi errori, e il sacerdozio stesso viene diluito nel suo intrinseco mistero sacramentale. Il sacerdote è Gesù stesso, il suo prolungamento sacramentale, che compie le medesime azioni salvifiche del Signore, per la santificazione e la salvezza degli uomini. Dire sacerdote, equivale a dire Gesù sacerdote, l’unico Sacerdote: ecco perché ogni sacerdote deve riflettere l’Unico, e questo non solo nel compiere le azioni sacramentali ma pure nel vivere in conformità al Sacramento ricevuto, nel vivere in conformità a Cristo stesso. Nel sacramento dell’Ordine scompare, per così dire, quella frizione tra l’essere sacerdote, tra l’essere sacramentalmente alter Christus, e il suo agire esistenziale e pastorale in conformità a Cristo sacerdote. In altre parole, nell’identità del sacerdote, in quanto realizzata dal sacramento dell’Ordine, non c’è posto per un’azione in ragione del sacramento e un’azione in ragione dell’uomo: il sacerdote è sacramentalmente Cristo e dunque Lui incarna nella sua vita. L’agire del prete nella fedeltà al Signore non dipenderà unicamente da una decisione della sua volontà di rimanere fedele, ma sarà attuata dal mistero sacramentale che fa essere immagine di Cristo sacerdote. Certo, non c’è confusione tra il sacerdote e Cristo: rimangono due persone distinte e il sacerdote rimane pur sempre una persona umana fallibile, ma nella misura in cui questi farà agire in sé il sacramento della conformazione a Cristo Sommo Sacerdote, sarà in toto Cristo tantomeno Sacerdote. L’identità del sacerdote, quale prolungamento cristico, è il luogo fondante anche la missione del sacerdote, e quindi la sua attività apostolica a servizio della comunità dei fedeli. Non sono i fedeli a specificare il ruolo del sacerdote nella Chiesa, né ad esigere una funzione nel sacerdote, volta unicamente ad un servizio nei loro confronti, ma la missione del sacerdote, la sua funzione ministeriale a servizio dei fedeli nasce quale promanazione dalla sua consacrazione in Cristo Capo e Pastore del Popolo di Dio, da guidare e da santificare. Di qui consegue che il Popolo di Dio non si adunerebbe come Chiesa senza la presenza sacramentale nel sacerdote del Sommo Sacerdote, che donando se stesso santifica i fedeli, senza la presenza del sacerdote che, quale Cristo nel tempo, continua ad offrire ai fedeli la salvezza. Senza il sacerdozio ministeriale, il cui munus propriamente è la guida dei fedeli alla vita eterna, mediante l’insegnamento e la santificazione sacramentale, non ci sarebbe la Chiesa di Dio, non ci sarebbe l’Eucaristia che fa la Chiesa. Infatti, perché ci sia la Chiesa e perché questa sussista nel tempo identica a quella voluta da Cristo, è necessario il sacerdozio ministeriale nella continuità storica della successione apostolica e l’Eucaristia, sacrificio vivente del Signore.
È falso e fuorviante invocare una nuova Chiesa senza il sacerdozio ministeriale, o scorgere nella mancanza delle vocazioni alla vita sacerdotale una sorta di “segno dei tempi” della definitiva riscoperta conciliare dei fedeli laici nel seno della Chiesa. Il sacerdozio ministeriale è indispensabile alla Chiesa per la santificazione dei fedeli, mentre il sacerdozio comune esercitato dai fedeli, a sua volta, costituisce la Chiesa come corpo, il corpo mistico del Signore.
Non si può nascondere che negli anni immediatamente dopo il Concilio Vaticano II si è conosciuta una stagione turbolenta, che ha segnato anche una crisi del sacerdozio ministeriale. Questa crisi si è generata soprattutto a causa di una notevole confusione di ruoli, indotta nel modo di concepire il rapporto tra fedeli e sacerdoti: si voleva a tutti i costi riscoprire il ruolo dei laici ma a discapito della loro verità, spingendo sempre più la verità del sacerdozio ministeriale verso una concezione piuttosto funzionalistica, alle complete dipendenze del sacerdozio comune dei fedeli. Questo ha fatto sì che tanti laici si improvvisassero sacerdoti. Nello stesso ministero sacerdotale poi, onde privilegiare ancora una volta la compagine d’affratellamento nella Chiesa, radunata intorno alla Parola di Dio, dimenticando però il potere salvifico dei Sacramenti, volutamente si è iniziato a concepire il sacerdozio ministeriale con un notevole accento sull’aspetto della predicazione e dell’evangelizzazione, quale missione primaria del presbitero, ignorando o accantonando l’aspetto cultuale-sacramentale.
La stessa S. Messa è stata concepita prevalentemente come convivio, generato dall’ascolto della Parola, mentre la santificazione, quale realtà misterica scaturente dal potere di santificare e di trasformare in Cristo dei sacramenti e particolarmente del sacrificio della S. Messa, è stata volutamente accantonata. Sembra che il cristiano si salva unicamente per l’ascolto della Parola, piuttosto che per il lavacro nel sangue di Cristo e per la rigenerazione spirituale mediante la Parola nei santi Sacramenti. La Parola non è un assoluto nella Chiesa, ma prepara e fa il Sacramento.
La celebrazione dei Sacramenti ha conosciuto un notevole oblio, e questo ha generato spesso numerosi dubbi nello stesso sacerdote circa la sua identità nella Chiesa.
In una recente Udienza Generale (5 maggio 2010), il Santo Padre, come aveva fatto già in precedenti allocuzioni, lamentava proprio questa discrepanza, che in definitiva è riconducibile a quanto dicevamo all’inizio: una frattura tra l’identità e la missione del prete ha generato a sua volta una frattura del tutto arbitraria tra Parola di Dio e Sacramento, tra il fare e il santificare. Diceva il Pontefice:
«Negli ultimi decenni, vi sono state tendenze orientate a far prevalere, nell’identità e nella missione del sacerdote, la dimensione dell’annuncio, staccandola da quella della santificazione; spesso si è affermato che sarebbe necessario superare una pastorale meramente sacramentale. Ma è possibile esercitare autenticamente il Ministero sacerdotale “superando” la pastorale sacramentale? Che cosa significa propriamente per i sacerdoti evangelizzare, in che cosa consiste il cosiddetto primato dell’annuncio? Come riportano i Vangeli, Gesù afferma che l’annuncio del Regno di Dio è lo scopo della sua missione; questo annuncio, però, non è solo un “discorso”, ma include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire; i segni, i miracoli che Gesù compie indicano che il Regno viene come realtà presente e che coincide alla fine con la sua stessa persona, con il dono di sé, come abbiamo sentito oggi nella lettura del Vangelo. E lo stesso vale per il ministro ordinato: egli, il sacerdote, rappresenta Cristo, l’Inviato del Padre, ne continua la sua missione, mediante la “parola” e il “sacramento”, in questa totalità di corpo e anima, di segno e parola».
Solo ripensando il sacerdote in Cristo, quale alter Christus, si può ricomporre questa frattura che poi presenta ancora un riflesso nella vita spirituale del sacerdote. Si è insistito fin troppo col dire che nella santificazione tutti hanno pari diritto. Questo è vero. Ma bisogna pur aggiungere che il sacerdote non si santifica come laico, ma sempre come sacerdote, quindi come Capo e Pastore del suo Popolo. Il titolo della sua santificazione è anzitutto quello battesimale, ma anche e soprattutto quello ontologico-ministeriale. Ecco perché allora la santificazione nel sacerdote è urgente per il fatto che funge da modello, da esempio per i fedeli, e da guida verso la santificazione. Se il sacerdote si santifica sicuramente si santifica anche la sua parrocchia; se il sacerdote invece è infedele a questo suo compito, sicuramente anche la parrocchia si allontana dalla volontà di Dio, anzi spesso diventa una contro-Chiesa, che mentre si scandalizza dell’operato dei preti, si allontana dalla verità di Cristo.
L’essere alter Christus, dunque, approda adagio alla ripresentazione anche esistenziale nel sacerdote di Gesù Sacerdote. Il sacerdote compie delle azioni sacre che non possono esimerlo dalla santificazione, e santificandosi, diventa con la sua stessa vita mediatore di santificazione.
Nell’unione filiale e devota del sacerdote con la Madonna c’è la riuscita del suo ministero, la sua sicura santificazione. Ci auguriamo che tutti i sacerdoti possano attuare nella loro vita quanto diceva il S. Padre a Fatima il 12 maggio 2010, consacrandoli tutti al Cuore Immacolato. Con una sola voce sacerdotale, unita a quella del Pontefice, vogliano i sacerdoti pregare la SS. Vergine e dirLe:
«Guidati da te,
vogliamo essere Apostoli 
della Divina Misericordia,
lieti di celebrare ogni giorno
il Santo Sacrificio dell'Altare
e di offrire a quanti ce lo chiedono
il sacramento della Riconciliazione. Avvocata e Mediatrice della grazia,
tu che sei tutta immersa
nell'unica mediazione universale di Cristo, 
invoca da Dio, per noi,
un cuore completamente rinnovato,
che ami Dio con tutte le proprie forze
e serva l'umanità come hai fatto tu».

p. Serafino M. Lanzetta, FI


da Il Settimanale di P. Pio, 6-13 giugno 2010, n. 22-23

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