lunedì 21 ottobre 2013

Il Figlio dell'uomo troverà la fede sulla terra?







Il Signore nel Vangelo secondo Luca (18,1-8) di questa domenica  ci pone una domanda che ci sorprende: è un monito e anche un enigma: «Quando il Figlio dell’uomo verrà troverà la fede sulla terra?». Perché il Signore lo chiede a noi? Forse lui non lo sa? E’ una domanda che particolarmente oggi ci interroga profondamente: abbiamo la fede e potremo conservarla? 
Le insidie soggettiviste del momento attuale sono una minaccia alla fede. Sembra che credere in Dio fermamente e senza dubbi non sia più possibile. Data la nostra debolezza, Dio dovrebbe rassegnarsi ad un uomo ammalato e incapace, e così dovrebbe salvarlo con i suoi dubbi, con il suo ateismo di fondo. 
Questa è la minaccia del relativismo che pretende di trasformare dal di dentro la fede; la minaccia dell’uomo che pretende di adattare Dio alle sue debolezze e non vuole più aprire il cuore e la ragione al mistero infinito e all’amore di Dio. 
L’uomo rassegnato, che dice di non poter credere, è in verità un uomo che vuole fare Dio a sua immagine. Come fare per credere e credere nella verità? Dobbiamo pregare, pregare senza mai stancarci. 
La preghiera però esige le formule di preghiera, le preghiere basilari (Pater, Ave Maria, Angelus, S. Rosario, ecc.), coma la professione della fede esige le formule della fede, il Simbolo. Come non è possibile credere ignorando o cambiando le formule dogmatiche, quantunque strumentali all'atto di fede, così non è possibile pregare rettamente trascurando le preghiere e pensando di ridurre tutto al "cuore" o di poter pregare in modo sufficiente con una sola preghiera "fatta bene", come si suol dire. Tanti cattolici diventano sempre più buddisti: pregano se stessi, contemplano se stessi.
Credo per pregare e prego per credere fermamente fino alla fine. Fino alla venuta del Figlio dell'uomo. 

domenica 29 settembre 2013

Non ogni povertà salva, non ogni ricchezza condanna



Proponiamo ai nostri lettori l'ascolto di due omelie di p. Serafino M. Lanzetta, nelle ultime due domeniche del T. O. 



Il racconto evangelico dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-13) talvolta ci sorprende: forse il Signore sta esaltando la disonestà di quest’uomo che si preoccupa di trovare una sistemazione dopo che è stato scoperto nei suoi traffici illeciti? No, assolutamente. Il Signore loda non la sua disonestà ma la sua scaltrezza. Infatti, i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce. Il Signore invita ciascuno di noi non a demonizzare la ricchezza ma a utilizzarla per un fine buono, a condividerla con chi ha meno e così a trasformarla da disonesta, quale essa normalmente diventa, a causa dei nostri egoismi, in carità che ci fa acquistare amici nelle dimore eterne. Coloro che avremo aiutati diventeranno nostri amici al cospetto di Dio e pregheranno per noi. La ricchezza non è dannata, così come la povertà che salva non è quella “reale” della teologia della liberazione, ma quella spirituale. Beati coloro che amano Dio e per suo amore soccorrono i poveri e così trasformano la “ricchezza disonesta” in un bene per tutti.




La seconda sulla parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro:


La parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro (cf. Lc 16,19-31) ci interroga sul vero significato della realtà dell’eterna perdizione e, per contro, della salvezza eterna in Paradiso. Perché Epulone è all’inferno? Solo perché vestiva di bisso e banchettava lautamente? No, ma perché aveva fatto di quelle cose il suo dio. Adorava il suo ventre e la materia ormai era il suo dio. Perché Lazzaro invece è nel seno di Abramo? Solo perché era povero? No, ma perché, nonostante la sua povertà, non aveva chiuso il suo cuore a Dio. Viveva di fede e chiedeva a Dio, nella speranza di ogni giorno, il pane quotidiano. Viveva del pane di Dio, della fede, e così, nonostante le sue piaghe e la sua miseria, non gli mancavano il coraggio e la speranza. Sapeva che Dio premia i buoni e punisce i cattivi. 
La ricchezza non è necessariamente un male così come la povertà non è necessariamente un bene e perciò salvifica. Il ricco Epulone, ogni uomo che vive di sé e del suo ventre, ci ricorda il vero valore della libertà: è vera la libertà solo se è responsabile ed è responsabile solo se dice a Dio, definitivamente, sì o no. La libertà non è incertezza o arbitrio.



venerdì 30 agosto 2013

S. Messa in rito antico ad Ognissanti



Siamo lieti di annunciare che la richiesta formulata dai Frati Francescani dell'Immacolata di Firenze per il ristabilimento della S. Messa in rito antico è stata accolta dal commissario apostolico, p. Fidenzio Volpi.




Le celebrazioni ripartiranno, nella Chiesa di S. Salvatore in Ognissanti, da domenica prossima, primo settembre, alle ore 12 e avranno la stessa cadenza prevista in precedenza, ossia

Domenica e festivi, ore 12
Feriali, ore 8


Deo gratias et Mariae Virgini!


venerdì 12 luglio 2013

Principi non negoziabili



(di p. Serafino M. Lanzetta, su Il Settimanale di P. Pio, nn. 26 e 27, giugno-luglio 2013).


Principi non opinioni 


La riflessione cattolica sui principi non negoziabili – definiti tali e in modo lungimirante da Benedetto XVI – rischia oggi, nel panorama della modernità liquida, di essere fraintesa, quando non anche di presentarsi, all’interno dello stesso mondo credente, a più voci ma per lo più contraddittorie. Dignità inviolabile della vita, matrimonio tra uomo e donna, procreazione, educazione dei figli da parte della famiglia, libertà religiosa come incoercibilità della coscienza nella scelta della verità, sono principi che promanano dalla legge naturale e perciò sono i fondamenti dello stesso agire morale. 

Oggi si cerca una via di dialogo perché non si scada in una sorta d’intolleranza morale, non si rischi di creare un muro cristallizzandosi su un bene che non è dogmatico ma razionale, come quello della morale naturale, precludendosi perciò la via del confronto sereno con i non credenti. Urgerebbe la necessità di trovare un’impostazione più condivisibile sui valori non negoziabili che, mentre non rinunci al patrimonio morale, non impedisca la valorizzazione di un dato centrale particolarmente sensibile che è la libertà di coscienza, ultimamente declinata come libertà di avvalersi di tutti i diritti dell’uomo, anche di quelli che diritti non sono. 

Ad esempio, con grande e grave arguzia, il neo-sindaco di Roma, Ignazio Marino, nel salutare il Gay-pride dello scorso 14 maggio, diceva così: «I diritti delle persone sono qualcosa che non può essere negoziato: non diritti speciali per qualcuno ma stessi diritti per tutti». Si capovolge l’assioma portante e così la stessa ragione: sarebbero i diritti (soggettivi) a non dover essere negoziati e non invero i beni universali dai quali promanano i diritti umani, i quali solo così non smetteranno di essere universalmente validi. 

Un equivoco di fondo, normalmente, si attesta sullo stesso approccio ai valori o beni universali e non negoziabili, i quali non sono opzioni morali ma principi dello stesso agire e che perciò costituiscono i presupposti della ragione pratica, che nel caso concreto sceglie in ragione del bene nella libertà. La ragione che si orienta nel campo della scelta morale non costituisce o plasma il bene morale, piuttosto lo trova come dato, come presupposto della stessa conoscenza che orienterà poi l’agire. Non è la ragione che crea il bene, né la volontà dell’uomo. Il bene viene prima, precede la conoscenza e lo stesso uomo. Il bene viene da Dio, Dio è il Bene. Pertanto, la legge naturale è scritta nell’uomo come partecipazione di quel Bene che è sempre tale ed è Dio stesso, riflesso della legge eterna di Dio. 

I principi non negoziabili sono a loro volta esplicitazione della legge morale naturale, precetti che sviluppano e concretizzano quelli generali che invitano a fare il bene, a ricercarlo sempre e sopra ogni cosa, e a evitare il male. 

Un’azione morale non può discutere l’accettabilità o meno dei principi del suo agire, stabilire se i valori morali sono validi in una determinata circostanza o almeno convenienti. Sarebbe come un uomo che, per conoscere, volesse prima discettare se conviene o meno stabilire che esiste il mondo e che nel mondo esisto io insieme ad altri. Come il mondo è un dato di partenza per chi vuole conoscere la realtà, così la vita inviolabile, ad esempio, è un dato di partenza per chi vuole agire in conformità al bene che per natura sua è universale. 

Perciò dobbiamo dire chiaramente che i valori non negoziabili sono evidenze morali, non dimostrabili ma dimostrate per sé, che a loro volta costituiscono la possibilità stessa dell’agire morale. Come direbbero i filosofi del senso comune – ci permettiamo un’analogia – sono essi stessi fondamento, senza alcun bisogno di essere fondati, della conoscenza e dell’agire morali. Sono principi indiscutibili, immutabili. Essi stessi, nella loro corretta applicazione, determineranno la verità o la falsità radicale dell’azione morale. 

Affermare ciò significa rinunciare al dialogo con i non credenti? Assolutamente no. Ripetiamolo: un dialogo è possibile solo se ci sono dei presupposti universali, validi per tutti e non solo oggi ma sempre. È necessario allora avere un concetto chiaro di “legge naturale”. 

mercoledì 19 giugno 2013

Un approccio teologico più rispondente al Concilio Vaticano II



Nella «Rivista Teologica di Lugano» 1 (2013) 75-95, p. Serafino M. Lanzetta ha pubblicato un articolo dal titolo L'ermeneutica del Vaticano II nel dibattito recente. Per un approccio più rispondente al Concilio. In esso vengono sintetizzati i risultati principali di uno studio più ampio, frutto di una ricerca attraverso le fonti, soprattutto inedite, sul Concilio Vaticano II, tra cui vari documenti di archivio della Commissione dottrinale.

Di questo studio offriamo ai lettori un estratto, rinviando, per la lettura integrale, al numero della rivista su indicato:


Uno degli aspetti principali nello studio del Concilio Vaticano II è quello ermeneutico. Dopo aver presentato una panoramica sulle recenti ermeneutiche, si desidera offrire un approccio nuovo al Concilio, visto come unità magisteriale nella distinzione delle sue diverse dottrine. Cosa significa che il Vaticano II volle essere un concilio pastorale? Gli interpreti hanno un sentire diverso. È indispensabile allora ricercare la mens del Concilio, andando alle fonti. Dopo aver indicato la necessità di distinguere i diversi livelli magisteriali nel Concilio, ci si concentra su alcune dottrine ritenute tipiche: il rapporto Scrittura e Tradizione, l’appartenenza alla Chiesa e il posto di Maria Vergine nel Concilio e poi nella Chiesa. Un principio ermeneutico realista vuole che si tenga presente lo stretto binomio di pastoralità e dottrinarietà per leggere il Concilio “dall’interno” e stabilirne correttamente il suo posto nel perenne magistero della Chiesa. 


Abstract:

One of the most important aspect of the Second Vatican Council is its hermeneutical dimension. In this study after offering an overview on the recent conciliar hermeneutics, the Author wishes to present a new approach by distinguishing the several doctrines in the unity of the magisterial teaching. What does pastoral Council mean? The interpreters are not in agreement. For this reason it is important to discover the mens of the Council, referring to the sources. The study underlines the necessity to distinguish the different magisterial levels in the Council, i. e. in its documents, and points out three representatives doctrines: the relationship between Scripture and Tradition, the membership of the Church and the place of the Virgin Mary in the Council and in the Church. A very realistic hermeneutical principle requires to note a close interdependence of pastoral and doctrinal in order to read the Council “from inside” and so to establish rightly his place in the perennial Magisterium of the Church. 


domenica 9 giugno 2013

La fede della Vergine Maria, modello e causa della fede della Chiesa



Catechesi di P. Serafino M. Lanzetta, presso il Santuario di "Nostra Signora delle Grazie", Porto Venere (La Spezia)




Beata sei tu Maria che hai creduto

venerdì 7 giugno 2013

Il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione della Chiesa




(di Marco Ferraresi su Unione Giuristi Cattolici Pavia. "Beato Contardo Ferrini").
Qui alcune foto della serata e anche l'audio della conferenza.


Martedì 11 giugno, ore 21, Padre Serafino Lanzetta (Frati Francescani dell’Immacolata) terrà presso la Sala Conferenze del Broletto in Pavia (ingresso laterale di via Paratici) una relazione dal titolo “Il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione della Chiesa”. E’ il tema sviluppato nel libro dello stesso Padre Lanzetta, Iuxta modum, edito nel 2012 da Cantagalli. L’evento, organizzato dal Sodalizio Pio XII, si ispira all’Anno della Fede ed è parte del programma culturale della annuale Festa del Ticino del Comune di Pavia.
Grazie a Benedetto XVI si è ravvivata negli ultimi anni la discussione teologica sul Concilio. In un celebre discorso del 2005 alla Curia romana, egli infatti ha sostenuto come negli anni successivi all’assise un’ermeneutica di discontinuità con la Sacra Tradizione abbia concepito il Concilio come un “nuovo inizio” per una “nuova chiesa”, da opporre ad una chiesa del passato.
Effettivamente, in questi decenni si è sentito un po’ di tutto. Appellandosi al Concilio sacerdoti hanno abbandonato l’esercizio del ministero, consacrati hanno violato il vincolo perpetuo dei voti, teorie esplicitamente o velatamente contrarie al Magistero infallibile hanno preso a circolare presso facoltà teologiche, seminari, istituti di insegnamento della religione cattolica. Sotto il pretesto dell’aggiornamento, della partecipazione e della “comprensibilità” (come se il mare potesse finalmente entrare nella conchiglia), si è assistito ad un “crollo della liturgia”, secondo l’espressione usata dal Card. Ratzinger nel denunciare gli abusi. Con la scusa del dialogo col mondo, della libertà religiosa, dell’ecumenismo, non pochi cattolici hanno sacrificato sull’altare del rispetto umano l’unicità salvifica di Gesù Cristo, la Chiesa cattolica come unica sede della pienezza della verità, i valori fondamentali della morale e le sue esigenze nella vita pubblica (pensiamo ai principi non negoziabili). Usando come grimaldello la collegialità e il sacerdozio battesimale, si sono invocati riforme democratiche del potere papale e il diritto di critica ad ogni pronunciamento magisteriale non gradito.
Come ciò è potuto accadere? E, soprattutto, si tratta di interpretazioni legittime? Sono contenute o suggerite dai documenti del Concilio o dal suo “spirito”?
La risposta non dipende solo dalla lettura dei testi, ma dall’ottica con cui si leggono. Potrebbe essere positiva solo se si ritenesse che il Concilio abbia inteso primariamente porsi come Concilio dottrinale e non pastorale; e che sia l’ultimo Concilio a giudicare la precedente Tradizione della Chiesa, inglobandola ed eventualmente superandola.
La risposta dovrebbe invece essere negativa se si ritenesse che il Concilio abbia inteso presentare se stesso come anzitutto pastorale (senza per questo rinunciare a formulazioni e precisazioni dottrinali); e che sia la Tradizione, come fonte della Rivelazione divina, la misura della verità delle cose, anzi, la Verità stessa comunicata a noi.
Non è questione oziosa: dalla risposta corretta dipende la fedeltà del credente a Nostro Signore e alla Chiesa, il fervore apostolico, la vivacità missionaria, il fiorire delle vocazioni.
Quale è, allora, la risposta corretta? Padre Serafino Lanzetta, giovane ed apprezzato teologo, ne parlerà nella sua attesa relazione. 


Marco Ferraresi


mercoledì 29 maggio 2013

La Chiesa riparte da Fatima



(di P. Serafino M. Lanzetta su  II Settimanale di P. Pio e  conciliovaticanosecondo.it).


Di solito le cose importanti passano sotto silenzio. Così è successo con una notizia che poteva occupare le prime pagine dei giornali, almeno di quelli cattolici, ma che ha interessato appena qualche trafiletto. Questa la grande notizia: lo scorso 13 maggio il Patriarca di Lisbona, Sua Em.za José Policarpo, ha consacrato il Pontificato di Papa Francesco alla Madonna di Fatima, durante la S. Messa solenne nella Cova da Iria, come espressamente richiesto dallo stesso S. Padre. Il giorno prima, invece, l’Arcivescovo di Rio de Janeiro, Mons. Orani Tempesta, ha consacrato alla Madonna di Fatima la prossima GMG brasiliana. 

C’è sicuramente un filo rosso che cuce questo ministero petrino, iniziato con l’elezione del 13 marzo 2013, con la situazione del tutto peculiare della Chiesa nel suo seno, partendo proprio dall’atipicità di due papi, di cui uno emerito, colpito a morte ma senza morire e il suo successore che ama presentarsi quale vescovo di Roma, vestito di bianco. Papa Francesco di recente ha ricevuto in visita privata il segretario di Giovanni XXIII, Mons. Capovilla, uno degli attori importanti in quel 1960, stabilito da Nostra Signora per rivelare la terza parte del segreto di Fatima, archiviato però per volontà di Papa Roncalli e pubblicato solo nel 2000, per volontà del B. Giovanni Paolo II, durante la beatificazione a Fatima dei due pastorelli, Giacinta e Francesco. 

Il gesto compiuto da Papa Francesco è di primaria importanza per tutta la Chiesa. Anzitutto ci dice, con toni nuovi e peculiari, una cosa fondamentale: Fatima non è una pagina di storia che appartiene ormai al passato. Così sembrava quando, nella spiegazione della terza parte del segreto, nell’anno 2000, si disse che la visione della «città mezza in rovina», con tanti morti, tra cui vescovi, religiosi e religiose, riguardava il secolo XX, il secolo dei martiri. 


martedì 28 maggio 2013

Avrò cura di te. Dialogo sui valori non negoziabili



(di Andrea Giannotti su Corrispondenza Romana) 

La difesa della vita. Tema di un’attualità drammaticamente costante, affrontato spesso dall’Associazione Famiglia Domani, ma che oggi, alla luce delle iniziative che hanno avuto luogo a Roma, tra cui la terza Marcia per la Vita, assume una dimensione particolare. In tal senso, la presentazione di Avrò cura di te. Custodire la vita per costruire il futuro (Fede&Cultura, Verona 2013, pp. 140, 12,80 euro) ultimo libro di Padre Serafino M. Lanzetta dei Francescani dell’Immacolata, ha rappresentato un importante contributo alla crescente presa di coscienza circa l’urgenza di tutelare e promuovere la vita.

Dopo un’introduzione di Virginia Coda Nunziante dell’Associazione Famiglia Domani, l’autore ha indagato la dimensione filosofica del bene della vita citando l’Evangelium Vitæ del Beato Giovanni Paolo II ed il suo appello per «una generale mobilitazione delle coscienze per una grande strategia per la vita» ed esortando i cristiani a dialogare con tutti in forza del riconoscimento di valori non negoziabili. È stata sottolineata l’inconsistenza e la vacuità di una concezione di libertà intesa come mera emancipazione di sé a tutti i costi. Un’idea di libertà, svincolata dalla Verità e da Dio, che si traduce nell’arbitrio del più forte sul più debole e nell’intolleranza verso quanti non hanno voce, il bambino non ancora nato o quei malati che si vorrebbe sopprimere.

Padre Lanzetta ha evidenziato un incomprensibile accanimento contro la vita, ossia proprio contro quel bene che è presupposto di ogni altro bene. Il discorso si è poi allargato ai c.d. valori non negoziabili; valori di per sé stessi evidenti che non abbisognerebbero di alcuna giustificazione, ma presupporrebbero la conoscenza morale.

Tuttavia in un’epoca socialmente e moralmente fragile, è necessario ricercare le forme migliori per presentare tali valori ed è utile per prevenire le critiche laiciste, rammentare l’insegnamento degli scolastici secondo cui la Verità è adeguamento alla realtà. La difesa della vita è un aspetto chiave. Senza la comprensione del valore vita ed il rifiuto di valutazioni squisitamente soggettive, non potranno essere adeguatamente compresi tutti gli altri valori. L’analisi si è sposata allora sulla dimensione politica del problema e, in particolare, sui famigerati “cattolici adulti”. Gli appartenenti a questa categoria teologico-anagrafica sostengono che la libertà che caratterizza la fede ne consente la separazione rispetto alla realtà temporale, ma qui si annida un errore molto insidioso, cioè l’idea che la ragione possa essere autonoma dal Creatore e dalla legge morale. Al contrario, non sono i valori non negoziabili che vanno ricondotti alla fede, ma viceversa! Nel clima esagitato del post-concilio si è alterata la nostra percezione di questi valori e qualcuno ha ritenuto di stabilire un ordine gerarchico ed una gradualità.

La realtà è che i valori non negoziabili costituiscono la verifica della fede, della teologia, del dialogo culturale ed ecumenico.Come si può pensare di presentare Dio e la Chiesa senza riconoscere i fondamenti essenziali della legge naturale? Alla luce di tale considerazione, risulta evidente la difficoltà di una conciliazione con il mondo protestante e le sue attuali convinzioni.

La suprema occasione di incontro e di sincronizzazione della ragione e della Fede cattolica è la vita. Essa viene da Dio e in tanto è sacra. Padre Lanzetta ha proseguito ammonendo affinché la difesa della vita impegni tutti i cristiani, senza vincoli politici e senza anagrafe della cattolicità, ricordando che dietro ad ogni attacco, anche quelli non immediatamente diretti contro la fede o contro la Chiesa, c’è sempre la mano diabolica che vuole corrompere la purezza della fede. In conclusione, l’autore ha fatto un ulteriore richiamo a Giovanni Paolo II ed al suo avvertimento per cui ogni attentato contro la vita è un attentato contro la pace e contro Dio.

Andrea Giannotti

giovedì 23 maggio 2013

Fatima è anche qui



Aspettando la Processione 
(di p. Serafino M. Lanzetta, sul Corriere fiorentino, del 23.05.2013).


C’è una grande notizia che purtroppo è passata quasi sotto silenzio: lo scorso 13 maggio a Fatima il Patriarca di Lisbona, Sua Em.za José Policarpo, ha consacrato il ministero petrino di Papa Francesco a Nostra Signora di Fatima, come espressamente richiesto dallo stesso Pontefice. Il giorno precedente, invece, l’Arcivescovo di Rio de Janeiro, Mons. Orani Tempesta, sempre nella Cova da Iria, ha consacrato alla Madonna di Fatima la prossima Giornata Mondiale della Gioventù brasiliana. 

Due sono le cose notevoli da sottolineare: la centralità di Fatima nell’ora attuale della Chiesa e la bellezza e la necessità della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, via che ci conduce a Dio, come assicurato dalla Madonna ai tre Pastorelli. 

Sembrava, di fatto, che il Messaggio della Celeste Signora, venuta in Portogallo nel lontano 1917 a chiedere la consacrazione della Russia al suo Cuore per evitare che l’Impero sovietico spargesse nel mondo gli errori dell’ateismo e del materialismo e la pratica dei primi sabati del mese in riparazione dei peccati commessi contro il suo Cuore, fosse ormai una pagina già archiviata della storia del secolo più lungo, il XX, giustamente definito il «secolo dei martiri». Soprattutto la visione che accompagnava il Messaggio della Madonna, il celebre «segreto di Fatima», sembrava ormai, nella sua rivelazione integrale dell’anno 2000, che fosse già da archiviare e tale da lasciare spazio a nuove rivelazioni private, che proseguissero in quel solco. Ma così non è. Quella «città semidistrutta», attraverso le cui rovine passava ansimante un «vescovo vestito di bianco», oltre a raffigurare il secolo più travagliato per la Chiesa, poteva alludere anche ad altre realtà, alla Chiesa stessa, alla Chiesa nel suo intimo, attraversata da una dolorosa crisi di fede accompagnata a una crisi morale. Questo ebbe a dire Papa Ratzinger pellegrino a Fatima nel 2010. Fatima non era una profezia già compiuta e destinata a passare. Era un lembo di cielo aperto sugli scenari futuri. 

Così finalmente il gesto di Papa Francesco ricolloca Fatima nel seno della Chiesa e riaccende la speranza per tutti noi, quella speranza che è il Cuore Immacolata di Maria, per la Chiesa e per il mondo. Recitava così il testo della consacrazione del Papa a Maria: «Siamo ai tuoi piedi, i Vescovi del Portogallo insieme a questa moltitudine di pellegrini, nel 96° anniversario della Tua Apparizione ai Pastorelli in questa Cova da Iria, per realizzare il desiderio di Papa Francesco, chiaramente manifestato, di consacrare a Te, Vergine di Fatima, il suo Ministero di Vescovo di Roma e Pastore universale. Perciò consacriamo a Te, o Signora, che sei Madre della Chiesa, il Ministero del nuovo Papa…». 

Di più, è da notare che l’accento è posto sul termine “consacrazione” e non semplicemente “affidamento”, certamente molto più povero se non addirittura riduttivo. La Madonna chiese espressamente la consacrazione al suo Cuore: uno strumento umile, che a molti fece e fa sorridere, dinanzi alla prepotenza del male, ma uno strumento di Dio, presente nella Tradizione della Chiesa sin dai Padri e dal grande S. Giovanni Damasceno; una via eccezionale della grazia per evitare le più grandi catastrofi morali e spirituali del secolo scorso, i cui rigurgiti oggi si sono palesati in un nichilismo di massa. Fatima è ancora al centro della Chiesa e ci auguriamo anche nei cuori di tutti i Pastori e dei fedeli. 

Perché questo Appello della Madonna di Fatima venga sempre più conosciuto e diffuso anche nella nostra città, sabato prossimo 25 maggio dedicheremo, nella Chiesa di Ognissanti, un giorno intero alla spiritualità e alla devozione mariane basate sul Messaggio di Fatima. Momento culminante di questa giornata sarà la processione cittadina con la statua della Madonna di Fatima, attraverso le vie del centro storico: alle 16,30 partiremo dalla Chiesa dei SS. Michele e Gaetano e raggiungeremo poi la Chiesa di Ognissanti, dove sarà celebrata la S. Messa e a conclusione ci sarà la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria. Ancora una volta, seguendo l’insegnamento di Papa Francesco, vogliamo incoraggiare la pietà popolare, mariana in questo caso, e darle il suo giusto e preminente posto nella vita dei fedeli, perché la fede sia sempre unita alla vita: la informi e la illumini. 

Che il Cuore di Maria diventi il Cuore della Chiesa, di ciascun figlio di Dio, per amare il Signore nel modo più vero e perfetto. Sempre ad Jesum per Mariam


p. Serafino M. Lanzetta, FI 

mercoledì 8 maggio 2013

Il monologo della Massoneria



Il 7 marzo 2013 p. Serafino M. Lanzetta pubblica un articolo sul «Corriere Fiorentino» dal titolo Quell'incompatibilità tra Chiesa e Massoneria. Ad esso replica in data 26 marzo Moreno Milighetti, con un pezzo dal titolo Chiesa e Massoneria, l'ora del dialogo. A quest'ultimo risponde, il giorno 7 maggio 2013, sul medesimo giornale, p. Paolo M. Siano, esperto della Massoneria. L'articolo per errore era stato attribuito a p. Serafino M. Lanzetta. Sul «Corriere Fiorentino» dell'8 maggio 2013 la precisazione circa la paternità di quest'ultimo intervento, che riportiamo integralmente di seguito.



Caro Direttore, 

vorrei fare qualche osservazione sull’articolo Chiesa-Massoneria: l’Ora del Dialogo scritto da un noto massone fiorentino, pubblicato su questo giornale nel marzo scorso, in seguito alla presentazione di due miei libri ad Ognissanti sulla Massoneria. Riassumo, in breve, alcune tesi di quell’articolo: 1) i contrasti tra Massoneria e Chiesa hanno radici storiche e sono dipesi dall’opposizione del Papato all’Unità d’Italia, ma ora tali contrasti non hanno ragione di esistere (infatti il Papato non ha più potere temporale). 2) I massoni non fanno alcun giuramento. 3) La Massoneria non ha nulla a che fare col relativismo. 4) La Massoneria è “scuola” di dialogo, di rispetto e di scambio di idee. 5) Lo strumento massonico del «dubbio» aiuterebbe i credenti; come dice «un grande cardinale cattolico», in ognuno di noi c’è un credente e un non-credente. 6) La tolleranza massonica «aconfessionale» sarebbe l’antidoto contro l’integralismo e il totalitarismo. 7) La Massoneria, come la Chiesa, sostiene la difesa di «valori tradizionali». 8) È  «l’ora del dialogo».

Ora mi permetto di replicare a ciascuna delle tesi su enunciate, punto per punto (i numeri tra paretensi si riferiscono alle tesi su enunciate, ndr): 

 1) L’incompatibilità e i contrasti storici tra Massoneria e Chiesa hanno in realtà profonde radici di carattere filosofico, teologico e spirituale, e permangono tuttora. Il “DNA” o l’ “essenza” della Massoneria comprende questi tre elementi oggettivi, tra loro fortemente intrecciati: a) un umanesimo adogmatico e mètadogmatico [cioè che pretende di “scavalcare” (come la bara di Hiram?), o superare, tutti i dogmi religiosi ed etici], un umanesimo che, di fatto, è soggettivista e relativista; b) una ritualità che pretende un’efficacia sacrale (ossia: mettere in contatto la Loggia e il singolo massone con una qualche presenza “sacra”), ontologica e psicologica sul singolo massone e sulla Loggia; c) un esoterismo gnostico che vede nelle scienze “esoteriche” (Alchimia, Cabala, Ermetismo, gnosticismo, ecc.) la chiave, la via, il mezzo per la ricerca interiore del proprio “Sé” o “Io” divino. 

2) Dal ‘700 i massoni fanno giuramenti, promesse o obbligazioni solenni al cospetto del Grande Architetto dell’Universo. È certo che nel ‘700 i rituali e giuramenti massonici obbligavano i massoni al segreto iniziatico sotto pena di morte in caso di spergiuro e tradimento. Quelle frasi rituali erano soltanto “simboliche”? È chiaro che quei giuramenti massonici costituiscono uno dei motivi per cui nel 1738, Papa Clemente XII promulgò la prima bolla di condanna contro la Massoneria. 

3-5) Il “relativismo” pratico e il «dubbio» sono gli strumenti, ora impliciti ora espliciti, con cui i massoni, di fatto, sradicano l’adesione (ferma e certa) dei fedeli ai dogmi religiosi ed etici. Ovviamente se qualche ecclesiastico mostra sintonia con il pensiero massonico, costui viene lodato dai massoni in antitesi agli “integralisti” (ossia coloro che zelano chiaramente la Fede e il Dogma cattolico). 

6) La “tolleranza” massonica, «aconfessionale», genera praticamente relativismo e secolarismo e ciò non aiuta affatto i credenti, sia nella loro vita privata che in quella pubblica. 

4) La Massoneria non è semplicemente un club umanista e dialogico, bensì un’associazione iniziatica ed esoterica con gradi e rituali, non sempre conoscibili dal pubblico profano. In nome della libertà di pensiero e di ricerca, i massoni amano mettere in dubbio i dogmi cristiani, tuttavia non sopportano che i profani indaghino le loro strutture iniziatiche (Riti, rituali, gerarchie, esoterismo). I massoni amano la “trasparenza” solo per quel che concerne la filantropia e una qual certa dialogicità. Ma del “volto” iniziatico ed esoterico, essi cercano di mostrare il meno possibile. Può accadere anche che alcuni massoni rifiutino a studiosi profani riviste, scritti, libri in cui autori massoni approfondiscono i contenuti iniziatici di riti, rituali, simboli e leggende massoniche; si tratta di contenuti che attingono al “mondo” gnostico: Alchimia (“spirituale” o “interiore” o esoterica), Ermetismo, Cabala, gnosticismo. 

7) Quali sarebbero quei «valori tradizionali» che – secondo il massone fiorentino – la Massoneria può difendere insieme alla Chiesa? Cosa si intende per «Tradizione»? Forse la “tradizione” secondo Julius Evola e René Guénon? Evola e Guénon sono due esoteristi molto in voga in ambienti massonici italiani e francesi. 

Concludendo: 8) in un eventuale dialogo Massoneria-Chiesa, proprio in nome della «trasparenza» vantata da vari Massoni, sarebbe necessario discutere anche degli aspetti iniziatici ed esoterici della Massoneria (circa i Tre Gradi fondamentali + gli Alti Gradi o Riti). Per un autentico dialogo, i massoni dovrebbero mettere a disposizione degli studiosi profani i testi richiesti (rituali, libri, riviste, quaderni dell’Ordine e dei Riti, ecc.). In caso contrario il “dialogo” risulterebbe piuttosto un monologo di parte massonica.

p. Paolo M. Siano, FI

sabato 4 maggio 2013

Dal finito all'Infinito. La ragione ci parla di Dio



Catechesi di P. Serafino M. Lanzetta per l'Anno della Fede

Terza Puntata




La verità è il Creatore. La verità è Dio


sabato 27 aprile 2013

La vita come dono, in marcia per la sua difesa




(di Michele Lanzetta su Riscossa Cristiana) 

Con la superbia Lucifero scelse di perdere amore, bontà e bellezza. Oggi, con la superbia, l’uomo sceglie di essere divorato dalle fauci del peccato a tutti i costi, chiamandolo “diritto” e “dignità”. Un diritto spesso camuffato da un concetto arbitrario di libertà, che, mascherata di buonismo, diventa sempre più intollerante verso gli indifesi ed impone l’opinione del più forte.


La vita soprattutto come “dono” e la libertà come possibilità di “accogliere sempre la verità” sono gli aspetti che caratterizzano “Avrò cura di te. Custodire la vita per costruire il futuro”, il nuovo lavoro editoriale di Padre Serafino Maria Lanzetta rientrante nell’importante collana di Fede & Cultura, «I libri del ritorno all’ordine», diretta da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro.

«Viviamo in un mondo libero e multiculturale - spiega Padre Serafino - che permette a ciascuno di essere quello che vuole. Ma è un mondo chiuso, soprattutto ai più deboli, che sono privi anche della voce per potersi difendere. E’ un mondo in cui è sempre più difficile entrare, a causa dell’aborto, e sempre più facile uscirci, per l’eutanasia. E’ una società dominata dall’individualismo e piena di contraddizioni. Chiudersi a Dio, però, significa chiudersi alla verità prima, che è la vita». 

Ai nostri giorni si venera tanto il corpo, ma nel contempo si cerca di annichilirlo prima della sua venuta al mondo. Oppure, in nome di un risparmio di sofferenze, si cerca di farlo dipartire prima della sua fine naturale. Contraddizioni illogiche ed assurde, queste, che si specchiano in azioni politiche che hanno la volontà di sovvertire ciò che è secondo natura. «Esigere di essere ciò che Dio non ha fatto, di fare ciò che non è conforme alla dignità della persona umana e alla natura creata da Dio, di eliminare ciò che non ci conviene ma che è vita, un cuore che pulsa, significa semplicemente trascinarsi e trascinare altri, incauti osservatori e loquaci protagonisti, verso il baratro», dichiara il teologo francescano. 

Si vogliono ribaltare i principi fondamentali della vita e della convivenza: molti figli di questa ideologia, per esempio, non dovranno più avere un padre ed una madre come da normalità, ma un genitore A ed un genitore B. Ma dove si andrà di questo passo? Qual è la strada da seguire per uscire da questo vicolo cieco? «All’origine di tutto c’è il “dono” di Dio - afferma Padre Serafino Lanzetta - La nostra vita è il dono iniziale e foriero di ogni altro bene. Se la si protegge si edifica la società. Far nascere un bimbo, accudirlo, è assicurare il vero bene dell’uomo, oggi e domani. Per il semplice fatto che se manca la vita, o se essa è indifesa, niente più sarà veramente umano. Non varrà più la pena vivere. L’esistenza verrà ingoiata, da un momento all’altro, dall’improvvida morte, la quale è sempre al nostro fianco». 










E proprio in difesa del valore universale del diritto alla vita il prossimo 12 maggio 2013 si terrà a Roma la III edizione della “Marcia Nazionale per la Vita”, iniziativa volta ad affermare la sacralità della vita umana e la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale e finalizzata a contrastare qualsiasi atto volto a sopprimere la vita umana innocente o ledere la sua dignità incondizionata ed inalienabile. 

«Si tratta anche e soprattutto di esprimere la nostra protesta contro l’uccisione degli innocenti, che in Italia è stata legalizzata dalla legge 194 del 22 maggio 1978 - spiega Virginia Coda Nunziante, portavoce della “Marcia Nazionale per la Vita” 2013 - Il nostro rifiuto dell’aborto, e della legge che lo legalizza, è totale, senza eccezioni e senza compromessi». 

L’appello alla partecipazione è rivolto non solo ai cattolici, ma a tutti coloro che riconoscono l’esistenza di una legge naturale, scritta nel cuore di ogni uomo, che proibisce l’uccisione dell’innocente. L’aborto non viola solo la morale cattolica, ma la legge naturale, valida per ogni uomo, in ogni epoca e sotto ogni latitudine. 

Questo spiega come lo scorso anno si sia registrata la partecipazione di cittadini italiani evangelici, ortodossi e buddisti, ma anche dichiaratamente atei. L’edizione 2013 della Marcia si concluderà a Castel Sant’Angelo e non in Piazza San Pietro, proprio per sottolineare il carattere non confessionale dell’iniziativa, aperta a tutti gli uomini di buona volontà.

Michele Lanzetta

venerdì 19 aprile 2013

Avrò cura di te di padre Serafino M. Lanzetta



(di Cristina Siccardi su Corrispondenza Romana) 

Ma come si è ridotto a vivere e a morire l’uomo del nostro tempo? Vive morendo e muore vivendo: è un omicidio continuo, attraverso l’aborto; attraverso la strage della ragione e l’annientamento della fede; attraverso l’eutanasia.

Perversità e vizio sono diventati i pilastri di questa civiltà che, rinnegando la sua matrice cristiana, si va autodistruggendo. Abbandonato Dio, l’uomo è in balia del grande Tentatore, che si contorna di depravazione, corruzione e dissolutezza, dando in pasto le sue vittime al caos e alla disperazione. Dove «si andrà se continua a predominare il soddisfacimento di sé, la ricerca di sé e del proprio appagamento, checché ne deriva agli altri e soprattutto ai più indifesi come i bambini?», una cultura siffatta genera una «guerra tra il soddisfacimento senza futuro e la voglia di vivere per soddisfarmi ancora. Una divisione interna alla persona è alla radice d’ogni altra oppressione» (pp. 21-22), parole amare, parole crude, parole sagge che leggiamo nel bel libro di Padre Serafino Lanzetta F.I. dal titolo Avrò cura di te. Custodire la vita per costruire il futuro (pp. 140, € 12.00); un libro che rientra nella importante collana di Fede & Cultura «I libri del ritorno all’ordine», diretta da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro.

Il corpo è idolatrato, ma nel contempo viene soppresso prima del suo iniziale vagito al mondo. Siamo nell’era delle più assurde ed illogiche contraddizioni, dove le azioni politiche hanno la volontà di sovvertire ciò che è secondo natura: «Le politiche non hanno più niente di politico e gli obiettivi più caldeggiati sono appunto quelli della sfera dei valori morali della persona. Perché? Si desidera una rivoluzione non delle sfere dell’amministrazione del bene pubblico ma del concetto stesso di bene e di male, un suo ridisegnamento» (p. 27). L’obiettivo è quello di ribaltare i principi fondamentali della vita e della convivenza: molti figli di questa ideologia, per esempio, non dovranno più avere un padre ed una madre come da normalità, ma un genitore A ed un genitore B, come il copione di un film dell’horror.

Può essere ben fiera la rivoluzione culturale sessantottina: i suoi risultati sono andati ben oltre le sue stesse aspirazioni. Dal canto suo la Chiesa non è più riuscita ad incidere sulla cultura e sulle coscienze: con il “dialogo” e l’ “aggiornamento” ha sempre più inseguito il consenso mediatico e virtuale, perdendo di vista la sua reale identità. La persona non è più fatta a immagine e somiglianza di Dio, ma ad imitazione del demonio; si ribella, dunque, al Creatore e con la superbia si fa beffe dell’Amore Infinito e della salvezza della propria anima. Con la superbia Lucifero scelse di perdere amore, bontà, bellezza; oggi, con la superbia, l’uomo sceglie di essere divorato dalle fauci del peccato a tutti i costi, chiamandolo «diritto» e «dignità». Ma come destare l’umanità occidentale da questo immane inganno? «Bisogna ripartire (…) dalla verità. Altrimenti ci autodeterminiamo a essere sterili, a vedere una Chiesa che si autocondanna a prendere il primo posto nei dibattiti pubblici ma che ha smarrito la sua identità. Dobbiamo ripartire da questa consapevolezza: la verità è per ognuno e il Vangelo è la salvezza di tutti gli uomini» (p. 33).

Non c’è altro metodo, per condurre questa folle e peccaminosa società del XXI secolo al rinsavimento e alla salvezza, che la volontà missionaria, quella che vestirono i primi Apostoli sul comando di Cristo. Si parla di «nuova evangelizzazione»; ma essa, in questi tempi di dissoluzione e decomposizione, deve essere eroica, altrimenti sarebbe vanificata. Ha detto nell’omelia papa Francesco il 14 aprile scorso nella basilica di San Paolo fuori le mura: «Non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati anche dove non vorremmo, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita». 

Cristina Siccardi

martedì 16 aprile 2013

ll Concilio Vaticano II e i tesori della letteratura cristiana




Basilica di Santa Croce - Firenze, giovedì 18 aprile, ore 17.30
Tesori della Letteratura Cristiana - Quarta edizione

Nel confronto delle interpretazioni, leggere il Concilio Vaticano II a più voci”


Per questo quarto anno di incontri abbiamo scelto di celebrare il cinquantenario del Concilio Vaticano II. Proporremo pertanto la lettura dei testi ivi prodotti scegliendo tra le pagine più e meno note al grande pubblico e che hanno segnato la storia della Chiesa. 
Le conferenze si svolgeranno secondo la consueta formula della lettura e commento da parte di un autorevole studioso del tema. Il ciclo intende dare luce alla ricchezza dell'apporto spirituale, culturale e letterario contenuto nei testi conciliari che attinge a tutta la tradizione cattolica: dai Vangeli, dai Padri e dagli scritti teologici. 
Lo spazio interpretativo è affidato a studiosi che potranno offrire nella varietà dei punti di vista nuovi e approfonditi spunti per un dibattito in sala. 
La produzione conciliare e' ancora un campo da approfondire e applicare alla vita della Chiesa.

domenica 31 marzo 2013

Santa Pasqua di Risurrezione





"Victimae Paschali laudes immolent Christiani. 

Agnus redemit oves: Christus innocens Patri reconciliavit peccatores. 

Mors et vita duello conflixere mirando: dux vitae mortuus, regnat vivus". 



Auguri di una Santa Pasqua in Gesù Risorto. 

Egli è il Vivente. Amen!

sabato 30 marzo 2013

Avrò cura di te. Un nuovo libro di p. S. Lanzetta sul mistero della vita



Dalla Prefazione 
di 
Gnocchi & Palmaro:


«Quando tra le pagine di un libro si annusa profumo di Chesterton, si può star certi che si tratta di un buon libro. E in questo lavoro, anche senza riferimenti speciali, il vecchio Gilbert è presente dal principio alla fine, quasi che padre Serafino Lanzetta abbia tenuto presente uno dei suoi pensieri più lucidi e folgoranti, che suona più o meno così: se il mondo com’è oggi non funziona, chi l’ha detto che non si possa tornare indietro? 

«Un pensiero di evidente buon senso che l’autore prende talmente sul serio da farne un vero e proprio programma per uscire dalle drammatiche spire della modernità. Se il mondo si è infilato in una trappola mortale, si può tornare indietro, eccome. Anzi, si deve tornare indietro, fino a recuperare il senso della vita. Se si permette il bisticcio di concetti, fino a recuperare il senso nativo della vita. 

«Ci arriva la ragione, spiega padre Lanzetta, e anche questo è molto chestertoniano. E lo conferma la fede. Ecco un altro dei pregi di questo libro: la capacità di tenere insieme fede e ragione, assegnando a ciascuna il suo ambito e mostrando che, avendo entrambe come oggetto la verità, non possono giungere a conclusioni diverse. Grazie alla ragione, della vita si può, e si deve parlare con chiunque, al di là delle tante timidezze, e purtroppo delle tante defezioni, che macchiano il mondo cattolico. Scorrendo queste pagine si scopre che sono proprio le parole sicure sulla vita, affilate e dolci allo stesso tempo, il balsamo che tanti uomini del nostro tempo vanno cercando. 

«Ci si affanna a trovare soluzioni di ogni genere al caos che avvolge questo disastrato secolo, da quelle economiche a quelle politiche. Si cerca di aggiustare in corsa ciò che sembra non funzionare. E non ci si accorge che, invece, diventerebbe tutto più facile se si ripartisse dall’inizio: dalla vita»...

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Nel frastuono dei rumori della nostra civiltà diciamo tante parole, ma non sappiamo più ascoltare. Col silenzio scompare anche il pensiero delle cose vere, delle cose importanti. Viviamo ma non sappiamo cos’è la vita, qual è il suo intimo significato. Così capita che impariamo a scegliere, o addirittura a “sceglierci”, ma non ci interroghiamo sui perché.
Dal solo vivere nella libertà, senza Dio, senza proibizioni, ci troviamo a fare i conti oggi con una vita svuotata del suo intimo significato: al non più vivere, al non dover più nascere, al dover vivere solo a determinate condizioni. Per una società tollerante come la nostra qui si evidenzia un male che è intolleranza fondamentale.
Il libro di p. Serafino M. Lanzetta offre una lettura di questo passaggio nodale del pensiero che va verso il nichilismo, fino ad annichilire le cose più grandi della vita, la stessa vita dell’uomo. 
L’A. scommette, per dare speranza al futuro, altrimenti squallido ed incerto, su un ritorno al valore primigenio, inestimabile e mai negoziabile della vita. Senza se e senza ma. Senza “politiche” della vita o sulla vita.
Scoprire cos’è la vita è iniziare a vivere veramente. Accorgersi di vivere “entrando nella vita” è poter vivere per sempre, con quel Dio che si è fatto Bambino e abita in mezzo a noi.
Così la vita, la Vita, ci sussurrerà: Avrò cura di te!


lunedì 18 marzo 2013

Giuseppe di Nazaret, l'uomo giusto



Il mese di marzo è dedicato dalla tradizione della Chiesa a S. Giuseppe, lo sposo di Maria e il padre verginale di Gesù. Sono questi due attributi che inseriscono a titolo unico Giuseppe di Nazaret, l’umile falegname, nel mistero di Dio, rendendolo partecipe così da vicino della Redenzione. S. Giuseppe è scelto da Dio quale custode nel tempo dei suoi misteri, custode di Gesù e di Maria. Su di lui si rivolge la predilezione unica del Padre che lo designa quale padre del suo Figlio e Sposo della sua Figlia. Nelle sue mani sono consegnati i tesori di Dio. 

È lui il tesoriere di Dio, eppure un’aura di silenzio e di profonda umiltà lo avvolge. Le cose grandi di Dio sono avvolte dall’umiltà, dal nascondimento. Sono grandi proprio nella misura in cui sono piccole agli occhi degli uomini. Facendosi piccoli si diventa grandi. Non è forse questo il paradosso più visivo del Vangelo? L’umile falegname di Nazaret lo incarna dal vivo. Giuseppe è “aggiunto da Dio” alla sua famiglia perché si tratteggiassero scultoreamente i lineamenti di una paternità e di una sponsalità che sanno di grandezza umile e di piccolezza sapiente. 

S. Giuseppe è una figura che affascina per la grandezza della sua vocazione che si cela tra le righe di sparute vicende familiari, intessute per di più di triboli e di spine. Tuttavia, se ci si cala in attenta contemplazione in quelle poche informazioni che di lui abbiamo, vi si scorge una figura maestosa. Matteo ama definire S. Giuseppe l’“uomo giusto”. È un attributo che l’evangelista gli applica di passaggio, per spiegare il motivo della sua prudente decisione di fronte al concepimento della sua moglie che credeva e riconosceva santa e abitata dal mistero. Dinanzi al mistero, Giuseppe temendo di intralciare la volontà di Dio, si ritira. 

È proprio delle persone umili mettersi da parte per fare spazio a Dio. Giuseppe che amava il nascondimento e soprattutto che amava il Dio nascosto, desiderava occultarsi per fare spazio a Lui nella vicenda della sua sposa. “Giuseppe suo sposo – dice l’evangelista – che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1, 19). 

È molto probabile che l’evangelista abbia attinto queste informazioni così intime dalla famiglia di Giuseppe, ovvero dai suoi più intimi di Nazaret, senza che si debba ricorrere a numerose acrobazie esegetiche, come ad esempio ad una riflessione a ritroso dell’agiografo partendo dai fatti della vita pubblica del Signore, per poi in definitiva, mettere in discussione la storicità di queste stesse informazioni. 

Giuseppe dunque era “giusto”, di una giustizia che lo rendeva come già gli antichi patriarchi, un uomo di Dio, un uomo di fede e di obbedienza alla volontà di Dio. Giuseppe aveva creduto al Dio dell’Alleanza senza tentennamenti. Aveva offerto a Lui la sua vita e, da pio israelita, meditava la Parola del Signore notte e giorno. Col Salmista, nel segreto della sua stanza interiore, rivolgeva a Dio la sua preghiera: “Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore. Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi, perché in esso è la mia gioia” (Sal 118, 34). 

Una prefigurazione molto bella di S. Giuseppe, uomo giusto per antonomasia, che davvero spera contro ogni speranza (cf Rm 4, 18), è il patriarca Abramo. Come già Abramo aveva creduto, senza mai vacillare nella fede (cf Rm 4, 19), così il nostro novello Patriarca (nel senso etimologico di “primo padre”) crede fermamente in Dio, si affida alla sua volontà, obbedisce. Mentre Giuseppe pensava nel suo cuore di allontanarsi dalla sua Sposa avvolta da un aureo mistero, un angelo del Signore gli apparve e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1, 20). 

Il giusto Giuseppe non ha bisogno di altro. Sebbene si trovi ora anch’egli avvolto dal mistero: un angelo gli parla e gli annuncia un concepimento soprannaturale della sua Sposa per opera dello Spirito Santo, capisce e crede. Crede con l’obbedienza della fede. Da qui si evince la giustizia di S. Giuseppe, la sua santità: non è estraneo al mistero, non rimane titubante dinanzi a quel quadro del tutto sorprendente. 

Giuseppe era un uomo di preghiera, abituato a dialogare con Dio. Era anche avvezzo a trascendere gli avvenimenti della vita e a leggerli alla luce della fede e della volontà di Jahvè. Finalmente destatosi dal sonno, come risvegliatosi da un intimo colloquio con l’Altissimo, “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù” (Mt 1, 24-25). 

Di nuovo, poi, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli ordinò di fuggire in Egitto a causa della violenta persecuzione di Erode. Giuseppe quale novello Abramo, lascia la sua terra, prende i suoi tesori più cari e fugge in Egitto. Va verso l’ignoto: una casa, un lavoro…? Giuseppe era un uomo santo. Si affida alla volontà di Dio e obbedisce. Iddio provvederà: ci sarà Lui. L’esilio presto finirà e Giuseppe ritornerà, obbedendo ancora alla voce dell’angelo, nella sua terra. Riconsegnerà a quella terra benedetta il suo sole, il suo sale. 

Come Abramo, infine, a cui Dio chiedeva il suo unico figlio – Abramo sapeva però che Dio può far nascere dei figli anche dalle pietre (cf Mt 3, 9) – e non aveva esitato ad accettare la sua volontà, così Giuseppe accoglie la volontà del Padre che gli dona il suo Figlio e gli chiede di custodirlo, di allevarlo e di educarlo (nel senso etimologico di “condurlo”) al grande giorno dell’immolazione cruenta. Pur non avendo lui stesso offerto il Figlio nel momento sublime del Calvario – quello che invece farà la sua Madre; lui, lo aveva fatto in signo nella presentazione di Gesù al tempio –, Giuseppe aveva disposto tutto perché suo Figlio si preparasse durante la crescita umana al momento culminante della sua vita terrena: il sacrificio della Croce. Come Gesù è il vero Isacco, così Giuseppe di Nazaret – come già la sua sposa Maria – è il vero Abramo. 

S. Giuseppe che aveva accolto il Figlio di Dio e lo avevo custodito, era cosciente che quel Figlio doveva fare la volontà del Padre (cf Lc 2, 49). Obbediente, lo restituisce in sacrificio con tutto il suo amore paterno e, silenzioso, esce di scena; si addormenta in Dio per essere poi risvegliato dal Figlio vincitore del peccato e della morte. Giuseppe fu il primo giusto verso il quale Cristo protese la sua mano. 

Pochi tratti ma davvero sublimi che scolpiscono una figura altissima di santità: Giuseppe di Nazaret, “uomo giusto”; un Santo che parlava “faccia a faccia” con Dio. 



p. Serafino M. Lanzetta, FI