sabato 14 gennaio 2012

I non credenti 
e la ricerca di Dio


Dopo lo storico invito di Benedetto XVI ad Assisi

Fonte: L'Osservatore Romano, del 14.01.2012


Traduzione italiana di un articolo del direttore dell’Istituto di ricerche filosofiche della Universidad Nacional Autónoma del Messico, che esce sulla rivista «Palabra». 



Il 27 ottobre 2011 sono stato invitato, insieme a Walter Baier, Remo Bodei e Julia Kristeva, all’incontro ecumenico e interreligioso organizzato ad Assisi dalla Chiesa cattolica. Noi quattro siamo non credenti dichiarati, ma siamo stati invitati con uno storico gesto di Papa Benedetto XVI a favore del dialogo fra credenti e non credenti. Mi sembra che l’importanza di questo dialogo non si possa ignorare. Credo tuttavia che per configurarlo meglio occorra fare alcune distinzioni.

Così come i credenti non sono tutti uguali — ce ne sono di fedi e atteggiamenti differenti — non lo sono neppure i non credenti. Potremmo dire che normalmente i non credenti si trovano tra due estremi: da una parte ci sono gli atei pieni di rabbia, nemici di Dio e della religione, dall’altra gli agnostici spirituali che stanno per convertirsi a una religione specifica. Fra questi due estremi, tanto distanti fra loro, ci sono molti tipi di non credenti: i tolleranti, gli indifferenti, quelli che cercano Dio, quelli che si rifiutano di credere in lui, e così via.

Ci sono anche atei che in realtà non lo sono, che credono in Dio nel profondo del loro animo, ma che sono arrabbiati con lui e che perciò lo negano. Ci sono pure agnostici che in realtà non lo sono, che credono nella divinità ma che non ne conoscono il volto e quindi non adottano una religione specifica. Lo spettro delle posizioni è amplissimo e perciò parlare di non credenti in astratto genera non poche difficoltà.

Di questo noi quattro non credenti invitati ad Assisi ci siamo subito resi conto. Le nostre posizioni di fronte alla religione e di fronte alla divinità erano molto diverse. Sembra che, dei quattro, io sia stato l’unico a sentirsi identificato con il messaggio del Papa agli agnostici. Nel suo discorso di Assisi, Benedetto XVI ha fatto una distinzione fra atei e agnostici. Ha descritto i primi come antireligiosi e i secondi come persone che soffrono per la loro mancanza di fede e che nella loro ricerca della verità e del bene cercano anche Dio.

Quando ho ascoltato questa definizione degli agnostici mi sono commosso. In effetti, nella mia umile ricerca della verità mi sono interrogato sull’esistenza di un Dio che potesse dare una risposta alle mie domande. E nello scoprirmi senza fede, senza protezione, ho anche desiderato l’esistenza di un Dio che mi offrisse sostegno nei giorni più neri.

Ma non sempre penso e sento allo stesso modo. A volte, la stessa ricerca della verità, vale a dire della verità oggettiva — quale altra potrebbe essere? — mi fa pensare che Dio non esiste, che dobbiamo cercare le risposte da soli. Altre volte, quando soffro per la mia solitudine, per la mia finitezza, qualcosa dentro di me mi fa ribellare contro l’idea che solo un Dio magnanimo potrebbe tirarmi fuori da questo stato. E allora ritrovo nella mia condizione la dignità e il coraggio sufficienti per andare avanti. L’agnostico che soffre perché è senza Dio e lo cerca è, a mio parere, un tipo molto speciale di non credente che non si può prendere come esempio paradigmatico dell’agnostico.

Se la Chiesa cattolica desidera veramente dialogare con tutti i non credenti, dovrà riconoscere che ce ne sono di tanti tipi, che non tutti cercano Dio o soffrono per la sua mancanza, e che tuttavia molti di essi sono disposti ad aprire la propria mente e il proprio cuore per avviare un dialogo costruttivo con i cattolici. Se qualcosa possiamo prendere da quello che potremmo chiamare il “nuovo spirito di Assisi” è proprio questo.


Guillermo Hurtado


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Leggi anche l'intervista ad Hurtado

Lo UAAR si era accorto di questa distinzione che aveva fatto Benedetto XVI ad Assisi tra atei ed agnostici (leggi), definendo il Pontefice un "ateofobo" (leggi). Intanto è chiaro che Benedetto XVI non intende mettere gli atei in cattedra ma annunciare ad ogni uomo di buona volontà il Dio vero, il Dio Amore che salva.

martedì 10 gennaio 2012

La rappresentazione blasfema di R. Castellucci, nel silenzio dei più



Purtroppo nella città di Milano, proveniente dalla Francia, sarà presto inscenata una rappresentazione davvero blasfema contro il Volto e quindi la Persona di Gesù Cristo, opera del regista romagnolo Romeo Castellucci, dal titolo «Sul concetto di volto nel Figlio di Dio». L’allusione è quindi chiara e determinata a Cristo e al suo Volto. Il problema veramente grave è che questo Volto diventa oggetto di orribili esecrazioni, quando l’anziano incontinente versa in faccia a Cristo il liquame delle sue dissenterie. Quel Volto sarà anche preso a sassate e gli si dirà «(Non) sei il mio pastore».

Come cattolici chiediamo rispetto. Castellucci non può insultare pubblicamente il Sacro Volto di Cristo, dolorante e maestoso, come risulta anche dalla Sacra Sindone.

A nulla vale poi camuffare il proprio dileggio per l'altrui fede, trincerandosi dietro i contorni evanescenti dell'arte contemporanea, il cui vero intento sarebbe noto solo all'artista, rimanendo ad altri (profani) sfuggevole e sempre al di là. Sia il regista che diversi interpreti (anche credenti), infatti, trovano una giustificazione allo spettacolo nel definirlo artistico e il liquame inchiostro. L’arte stessa sembra diventata un grande calderone dove tutto bolle, e deve bollire. No, si tratta di buon senso e, anche, di rispetto per le persone credenti in Gesù Cristo.

La libertà religiosa è anzitutto un'esigenza del rispetto del diritto alla libertà religiosa dell’uomo e di conseguenza di tutto ciò che è contenuto sacro di una fede religiosa, del cristianesimo in questo caso.

È necessario che i nostri Pastori, i Vescovi cioè, facciano sentire la loro voce di protesta, ferma e caritatevole, perché cessi davvero questo clima di cristianofobia che sempre più si alimenta. Sarebbe confortante per tutti i credenti se la Conferenza Episcopale Italiana, sempre così attenta ai problemi della società, intervenisse ora con parole di chiara disapprovazione. Non ne va di mezzo il dialogo con l’arte e la cultura, ma la dignità di Nostro Signore.

I nostri fratelli cristiani in altre parti del mondo vengono uccisi perché sono di Cristo. Uniamo la nostra voce al loro sangue e difendiamo la nostra identità.


p. Serafino M. Lanzetta, FI

domenica 8 gennaio 2012

Il dono del Battesimo: diventare figli di Dio nel Figlio diletto. Per sempre


Il Battesimo del Signore è una delle tre epifanie del Figlio di Dio. La prima è quella ai Magi, poi questa nel fiume Giordano e infine quella a Cana. In tutti e tre questi momenti Gesù si svela quale Figlio di Dio Salvatore. Nel Giordano, il giorno in cui il Figlio entrò nelle acque, si realizzò l’epifania della SS. Trinità: una voce dal cielo, il Padre, che attesta che quel Gesù di Nazaret è il suo Figlio diletto; lo Spirito di Dio che scende su di lui sotto forma di colomba. Lo Spirito che all’inizio della creazione del cosmo aleggiava sulle acque (cf. Gn 1,1) ora è sul Figlio, colui per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato fatto (cf. Eb 1,2 e Col 1,16).

Lui, il Cristo ora toccando le acque e istituendo inizialmente il Sacramento del Battesimo è veramente colui che santifica la creazione, la rinnova. Il Signore, infatti, istituirà il Sacramento del Battesimo per la nostra salvezza, perché lavati dal peccato, in Lui diventassimo figli di Dio per la vita eterna. Cristo nel Giordano ci apre la porta della vita vera ed eterna, che ci raggiungerà grazie al S. Battesimo. Tre sono i testimoni del Figlio: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi nell’attestare che Cristo è il Redentore e il Signore (cf. 1Gv 5,8). L’acqua e il sangue scaturirono dal costato trafitto di Gesù sulla Croce e lo Spirito Santo, ora disceso su di Lui, fu dal Figlio soffiato alla sua morte e mandato sulla Chiesa a Pentecoste. Acqua, sangue e Spirito fanno i Sacramenti della Chiesa, quei mezzi di salvezza istituiti dal Cristo per la nostra salvezza. Di questa il Battesimo è la porta.

Il Sacramento del Battesimo è necessario alla salvezza. Senza il Battesimo, ordinariamente, non c’è salvezza. L’ha insegnato il Signore stesso, in un passaggio poco e raramente ricordato dai predicatori: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà, sarà condannato» (Mc 16,16). A nulla vale dire che si tratta della finale di Marco per ignorare la vera posta in gioco. Certo vi è anche un Battesimo di desiderio (accanto al Battesimo di sangue o martirio), o meglio il desiderio del Battesimo, salvifico nella misura in cui, in retta coscienza, l’uomo che non ha conosciuto il Vangelo desidera il vero Dio, la verità e quindi la salvezza. Il desiderio del Battesimo è salvifico in ragione del Sacramento del Battesimo – di qui trae la sua efficacia salvifica straordinaria – e quindi della volontà salvifica universale di Dio, divenuta visibile e tangibile nel Figlio e nei Sacramenti del Figlio. Il desiderio del Battesimo, quindi, mentre ci ripete con S. Cipriano che fuori della Chiesa non c’è salvezza, ovvero fuori del Corpo sacramentale e vivente del Signore, non elude la necessità del Sacramento del Battesimo e il dovere della Chiesa di essere missionaria fino ai confini del mondo. La Chiesa è chiamata dal suo Signore ad evangelizzare tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: il Dio Unitrino, che si rivela nel giorno del Battesimo del Signore.

Un «cristianesimo anonimo» fu la soluzione molto affrettata di K. Rahner per risolvere il problema pastorale dell’ateismo occidentale, più che il problema della scarsezza dei missionari: l’uomo, in quanto tale, sarebbe già cristiano, confondendo però il desiderio implicito del Battesimo con la conoscenza esistenziale e universale dell’essere.

In realtà, il desiderio del Battesimo è sì salvifico, ma non sostituisce i Sacramenti, via ordinaria, ma ancor più, via sicura per la salvezza, e oltretutto dono del carattere sacramentale: il sigillo dei figli di Dio riconoscibili in eterno.

Oggi purtroppo assistiamo sempre più ad una richiesta insulsa di essere sbattezzati. Perché chiedere di essere cancellati dal registro dei battesimi – ciò che significa propriamente sbattezzo –, quando per non credere basta escludere la fede e non praticarla? Ciò è in realtà sintomo di un grave vuoto culturale della nostra società: in una cultura occidentale senza più un volto si chiede non solo di non credere più ma anche di non appartenere più alla Chiesa, rinnegando però le proprie origini, il dono dei miei genitori e quindi indirettamente anche i miei stessi genitori. In una parola, si tratta del rinnegamento delle proprie radici. Ma un uomo senza radici è un uomo senza futuro; un uomo in balia di qualsiasi vento, come una canna sbattuta di qua e di là. Soprattutto oggi, in una società in cui manca sempre più la famiglia, viene meno la propria consapevolezza identitaria. Rinnegare le proprie radici cristiane è poi il sintomo ultimo del rinnegamento di se stessi fino in fondo, del rinnegamento della mia cultura e della mia possibilità di vivere anche domani.

Non pochi genitori poi oggi dicono: «Non voglio battezzare mio figlio. Aspetto che diventi maturo perché decida lui cosa fare della sua fede e della sua religione». Potremmo però chiedere a questi genitori, animati da un vuoto concetto di libertà: scegliere il proprio desiderio, e non più il bene, se hanno chiesto ai lori figli il consenso ad essere concepiti e a venire nel mondo. Se un genitore non dà al figlio quel bene che veramente conta e fa grandi, cosa sarà capace di donargli?

La vita è un dono e il Battesimo è il dono soprannaturale della pienezza della vita. È la vita in pienezza, la vita eterna. Una riflessione cristiana sul dono inestimabile del Battesimo, la nostra eterna salvezza, può aiutare la società a ritrovare se stessa, a ridiventare cristiana nella sua più profonda identità umana, e la Chiesa a non perdere di vista questo mistero grande di cui è preziosa depositaria e per il quale è Madre incorruttibile, semprevergine.

p. Serafino M. Lanzetta, FI