Riprendiamo due interventi del Prof Pietro De Marco (nella foto), docente all'Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale, a proposito delle recenti dichiarazioni di Don Alfredo Jacopozzi, circa il mistero della Chiesa e il problema della divisione dei cristiani. Don Jacopozzi liquidava su "Toscana Oggi" del 7 ottobre 2012 la critica del p. Lanzetta dicendo che con i tradizionalisti non si può discutere. Il problema non è il tradizionalismo ma la retta fede, ricevuta dagli Apostoli. Che oggi è in crisi.
Concilio e anno della
fede. Un confronto grave in cui evitare scorrettezze
Un amico, sacerdote e teologo,
colta intelligenza che ha per questo particolari responsabilità, interviene su
un settimanale cattolico regionale. Il tema è il Concilio, la vera Chiesa e la
resistenza degli ambienti ‘tradizionalistici’ (non scismatici) all’ecumenismo
conciliare e postconciliare. Dopo aver ricordato la ‘scaletta di argomenti’
dettata dopo trent’anni dall’enciclica Ut unum sint (ovvero De oecumenico
officio del 25 aprile 1995, Enchiridion Vaticanum 14, 2667-2884), il teologo si
spinge ad affermare che per i critici (tradizionalistici) “tutto ciò [ossia le
linee proposte dall’Enciclica per favorire e guidare il dialogo ecumenico pdm]
è immanentismo, antropocentrismo, irenismo ecc.”. Per concludere, dopo aver
menzionato con riprovazione mons. Brunero Gherardini: “Ma con chi considera il
Vaticano II un equivoco e un colpo di mano contro la Tradizione, qualsiasi
confronto è del tutto impossibile”.
Appare qui una semplificazione
inaccettabile, anche (o tanto più) se in buona fede. Osservo due cose. La
prima. Nessun esponente della teologia cattolica che continua a fondarsi
anzitutto sulla Tradizione cronologicamente ‘preconciliare’ (che è la
Tradizione cattolica tout court), considera immanentismo o ‘deriva
modernistica’ un ecumenismo cattolico che dichiari (come fa la Ut unum sint di
Giovanni Paolo II) irrinunciabili: il legame necessario tra Scrittura e
Tradizione, l’Eucarestia come memoria sacrificale e presenza reale di Cristo,
il sacramento dell’Ordine, il Magistero, la Vergine Maria Madre di Dio.
Tutt’altro! Altra cosa è temere che, come conseguenza di decenni di ‘dialogo’
senza regole (che provocarono la UUS e molti altri interventi disciplinanti di
Roma), proprio questi dati primi e vitali della realtà e della dottrina
cristiana, vengano diluiti e vanificati.
La seconda, più importante. Dove
trovare, allora, “immanentismo, antropocentrismo, irenismo”, che non sono né
invenzioni di Gherardini o di Antonio Livi, e dei loro splendidi, coraggiosi
libri[1]?
Si trovano nel soggetto assente dal ragionamento dell’amico teologo, cioè nella
cultura e nella pratica ‘ecumenica’ che non si riconobbero, né prima né dopo la
UUS, in alcuno dei punti fermi dell’Enciclica.
La dimostrazione, prima che nei
libri, è sotto i nostri occhi. La manierata evocazione del Vangelo, in
scrittori e scrittrici di cose ecclesiali e spirituali, che sulla stampa e
nell’editoria cattolica passano per ‘teologi’, non fa mai menzione
significativa della Tradizione. Per l’Eucaristia circola quasi ovunque il
superficiale verbiage della mensa e del mangiare insieme, contro la dimensione
sacrificale e contro (più o meno consapevolmente) la Presenza reale. L’Ordine
sacro è declassato quanto a sacralità e a peculiarità ontologica, ed è
schiacciato sulle sue funzioni ‘umane’. Il Magistero è ignorato nella sostanza,
tollerato ‘per obbedienza’. La Vergine Maria è presente dove la personale
devozione lo chiede al singolo sacerdote, o a qualche teologo, ma non appartiene
all’impalcatura della fede (se qualche ‘impalcatura’ vi è ancora) che essi
trasmettono.
Aggiungo: in tale movimento
(anzi: smottamento) indotto dall’intelligencija ecclesiale che si richiama allo
‘spirito’ del Concilio, non sorprende che l’ecumenismo sia oggi infine poco
praticato, poiché nell’ordine della dottrina della fede siamo molto al di là,
in termini di dissoluzione dogmatica, di ciò che la tradizione protestante non
secolaristica, per non dire l’Ortodossia, credono ancora. In termini storici siamo
nella somma o confusione di terreni ereticali secolari. Modernismo, in senso
tecnico.
Questo quadro, che corrisponde ad
una parte non piccola della cultura clericale e laicale, è, appunto, la parte
mancante nel ragionamento dell’amico teologo. Qui vi è, certamente,
immanentismo e il resto, e questo, non l’ecumenismo del Concilio e dei papi
(non giochiamo, anzi non bariamo!), è il bersaglio dei ‘conservatori’; in
realtà di quanti ritengono che ‘eredità’ o ‘spirito’ del Concilio vadano
sottoposti, finalmente, a discernimento storico e teologico rigorosi, poiché
attraverso il pretesto, e la falsificazione, del Concilio come ‘novità’ è
filtrato e filtra il peggio. Va denunciata la tattica disonesta, già attiva
nell’opinione pubblica ecclesiale, di presentare l’Anno della fede, e le
celebrazioni del Cinquantenario dell’inizio del Vaticano II, come l’occasione
per colpire i critici ‘tradizionalisti’ del Concilio.
La congiunzione dei due momenti,
voluta da papa Benedetto, varrà a rendere consapevole il popolo cristiano,
anzitutto, di quanto (per dono di Dio) la fede viva ancora in lui, ed anche di
quanto il patrimonio della Fede sia stato sconciato da utopismi e da
dilettantismi. I ‘passionari’ del Concilio si chiedano, piuttosto, con serietà,
in cosa credano oggi sotto l’abusivo richiamo al Concilio; e anche da quanto
non leggano integralmente una Costituzione conciliare. Se in una sede di studio
prestigiosa, a Roma, in un convegno di e per ‘teologhe’ ci si può domandare,
tra salotto e comizio: ‘In fondo, chi esercita il Magistero nella Chiesa e a
che diritto?’; se, in Italia, un parroco (uno?) può somministrare l’eucaristia
‘in memoria di Cristo’ (invece di dire: ‘il corpo di Cristo’), o nella chiesa
di qualche convento importante i comunicandi si servono da soli come ad uno
snack bar, questo non è uno scherzo: presuppone già o implicherà presto la
negazione di tutti i punti fermi della UUS (inclusa Maria mater Dei) a
vantaggio del più banale, nichilistico, ‘cristianesimo’ postmoderno.
Dunque, se
qualcuno ha l’ardine di osservare che la ‘spinta ecumenica’, messa nelle mani
dell’intelligencija teologica, ha favorito la liquidificazione della fede
cattolica, non ha torto; lo si può dimostrare con analisi testuali. Ma non è
l’ecumenismo in gioco. Cattolici e protestanti rischiamo, a livelli diversi di
gravità, ben altro: il magma dell’indistinzione senza dottrina né chiesa. I
‘lefevriani’ sono l’ultimo dei problemi per l’Anno della Fede.
P. De Marco
[1]
Di mons. Brunero Gherardini, figura storica della teologia italiana, ricordo
almeno Quod et tradidi vobis. La tradizione vita e giovinezza della Chiesa,
Casa Mariana Ed., 2010; di mons. Antonio Livi, decano della Facoltà di
Filosofia dell’Università Lateranense, Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci
Ed., 2011.
___
L’anno della fede, il Concilio e i loro ‘nemici’
Nella risposta di don Alfredo Jacopozzi (TO, 7 ottobre 2012, p.16), un amico, e una colta intelligenza che ha per questo particolari responsabilità, colgo un passaggio e dei protagonisti mancanti. Senza questa integrazione quello che scrive sarebbe francamente fuorviante.
Dopo aver ricordato la ‘scaletta di argomenti’ dettata dall’enciclica Ut unum sint (ovvero De oecumenico officio del 25 aprile 1995, EV 14, 2667-2884), afferma che per i critici, tra i quali anche il p.Serafino M. Lanzetta, ‘tutto ciò [ovvero le istanze proposte dall’Enciclica per favorire e guidare l’ecumenismo pdm] è immanentismo, antropocentrismo, irenismo ecc.”. Per concludere, dopo aver menzionato anche Brunero Gherardini: “Ma con chi considera il Vaticano II un equivoco e un colpo di mano contro la Tradizione, qualsiasi confronto è del tutto impossibile”.
Osservo almeno due cose. La prima. Nessuno degli interlocutori, come nessun esponente della teologia cattolica che continua coerentemente a fondarsi sulla Tradizione cronologicamente ‘preconciliare’ (la Tradizione cattolica tout court), considera ‘deriva modernistica’ o simili un ecumenismo che dichiara irrinunciabili il legame necessario Scrittura-Tradizione, l’Eucarestia memoria sacrificale e presenza reale del Cristo, il sacramento dell’Ordine, il Magistero, la vergine Maria, Madre di Dio. Tutt’altro!
Altra cosa è temere a buon diritto che, come conseguenza di decenni di ‘dialogo’ senza regole (che provocarono la UUS e molto altro impegno disciplinante di Roma), questi dati primi e vitali della realtà e della dottrina cristiana, vengano diluiti e vanificati.
La seconda. Dove trovare, allora, “immanentismo, antropocentrismo, irenismo”, che non sono invenzioni di mons. Gherardini o di mons. Livi, e dei loro splendidi, coraggiosi libri, né del fine p. Lanzetta, né mie (si tratta di una diagnosi che, da storico delle idee, mi è agevole) ? Si trovano nel soggetto assente cui alludevo, cioè nella cultura teologica e pastorale, e nella pratica ‘ecumenica’ (ma si tratta di molto di più) che non riconoscono, né prima né dopo la UUS, alcuno dei dettati della ‘scaletta’.
In effetti. La manierata evocazione dei Vangeli, in scrittori e scrittrici di cose ecclesiali e spirituali che sulla stampa e nell’editoria cattolica passano per ‘teologi’, non fa mai ricorso significativo alla Tradizione. Per l’Eucaristia vale troppo spesso un diffuso e superficiale verbiage della mensa e del mangiare insieme, contro la dimensione sacrificale e (più o meno consapevolmente) la Presenza reale. L’Ordine sacro è ridimensionato quanto a sacralità, a peculiarità ontologica, e schiacciato sulle sue funzioni ‘umane’. Il Magistero è ignorato nella sostanza, tollerato ‘per obbedienza’. La Vergine Maria è presente solo dove la devozione lo chiede al singolo sacerdote o a qualche teologo, ma non appartiene all’impalcatura della fede (se qualche ‘impalcatura’ vi è ancora) che trasmettono.
Questo quadro mediano è, appunto, la parte mancante nel ragionamento di Jacopozzi. Lì vi è, certamente, “immanentismo” e il resto. Questo, non l’ecumenismo del Concilio e di Roma, è il bersaglio di coloro che ritengono, meditatamente, che eredità o spirito del Concilio vadano sottoposti, finalmente, a discernimento storico e teologico rigorosi, poiché attraverso il pretesto, e la falsificazione, del Concilio come ‘novità’ è filtrato e filtra il peggio per la Fede.
Chi, oggi, ha l’ardine di osservare che anche la ‘spinta ecumenica’ ha favorito, nelle mani dell’intelligencija teologica, la liquidificazione della fede cattolica, non ha torto; si può dimostrare con analisi testuali. Ma non è l’ecumenismo in gioco; rischiamo, cattolici e protestanti, a livelli diversi di gravità, altro: il magma dell’indistinzione senza dottrina né chiesa. I ‘lefevriani’ sono, per l’Anno della fede, l’ultimo dei problemi.
P. De Marco
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