Sintesi della Conferenza di P. Paolo M. Siano, FI
Già durante il periodo conciliare, nell’udienza del mercoledì 4 novembre 1964, Papa Paolo VI deplorava «che si è diffusa un po’ dappertutto la mentalità del protestantesimo e del modernismo, negatrice del bisogno e dell’esistenza legittima di un’autorità intermedia nel rapporto dell’anima con Dio.
A proposito della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, lo storico Hubert Jedin (1900-1980) – già perito conciliare del card. Frings – ha osservato che la Gaudium et spes fu salutata con entusiasmo ma la storia posteriore ha dimostrato che la sua importanza e valore furono «largamente sopravvalutati» e che il mondo, che si voleva portare a Cristo, era profondamente penetrato nella Chiesa.
Nel luglio 1966, a pochi mesi dalla fine del Concilio, l’ex Sant’Uffizio mette in guardia le Conferenze Episcopali da interpretazioni erronee dei decreti conciliari. Così riassumo gli errori denunciati dal Dicastero romano: biblicismo protestante; esegesi biblica razionalistica; storicismo e relativismo dogmatico e gnoseologico; soggettivismo etico (specialmente in materia sessuale); disprezzo verso il Magistero ordinario della Chiesa; negazione della divinità di Gesù Cristo; teoria della transignificazione eucaristica negatrice della transustanziazione; circa l’Eucaristia, insistenza sul concetto di agape a scapito di quello di sacrificio; deprezzamento della confessione sacramentale; minimizzazione del peccato originale e del concetto di peccato (non più inteso come offesa a Dio); falso ecumenismo che si confonde con l’irenismo e l’indifferentismo religioso.
Nell’udienza generale del mercoledì 19 gennaio 1972, Paolo VI denunciò apertamente l’attualità - sotto altri nomi – di quel «modernismo» già condannato dal Papa San Pio X col decreto Lamentabili (1907) e con l’enciclica Pascendi. Nell’udienza al Sacro Collegio Cardinalizio, del 23 giugno 1972, Paolo VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto».
Nel giugno 2009, a Roma, durante l’incontro annuale dei Rettori dei Seminari Pontifici, il Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, Mons. Jean-Louis Bruguès ha riconosciuto che quelli della sua generazione hanno interpretato «l’ “apertura al mondo” invocata dal concilio Vaticano II come un passaggio alla secolarizzazione». In un altro recente articolo, Mons. Bruguès ha denunciato l’auto-secolarizzazione che dal post-concilio in poi ha minato anche la vita religiosa.
Tra i frutti di questa autosecolarizzazione: «Gli organici sono diminuiti a vista d’occhio nelle chiese, nei corsi di catechesi, ma anche nei seminari». Mons. Bruguès ammette che la corrente ecclesiastica auto-secolarizzatrice è ancora dominante in quanto «i suoi adepti detengono ancora delle posizioni chiave nella Chiesa».
Il Vaticano II è stato un concilio «riformatore» di natura pastorale che si confrontò con tre termini sinonimi di «cambiamento», ossia: «aggiornamento, sviluppo, ressourcement».
Nel Concilio avvengono dibattiti e scontri conciliari anche molto duri; la segretezza al riguardo fu mal custodita. I mass-media, più presenti che nel passato, si impadronirono di tali fatti e li resero noti al grande pubblico influenzando anche la ricezione del Concilio.
Prima e durante il Concilio, un concetto chiave che esprime una nuova sensibilità di esser cattolico, è ressourcement, ossia ritorno alle fonti: concetto che fu proprio degli Umanisti del ‘400-‘500 (es. Erasmo da Rotterdam) e dei riformatori protestanti: ritornare alla Sacra Scrittura, ritornare alle fonti patristiche (queste ultime però rifiutate dai protestanti). Un tale concetto faceva ben comprendere un rifiuto o per lo meno un disagio di fronte al cattolicesimo post-tridentino… A tale ressourcement si richiamavano quei teologi europei di metà Novecento che vennero censurati dal Sant’Uffizio: i teologi della cosiddetta Nouvelle Théologie, profondamente anti-tomista e anti-scolastica. Dopo l’enciclica Humani generis di Pio XII, questi teologi, sospettati di neo-modernismo, vennero rimossi dall’insegnamento con la proibizione di pubblicare scritti su alcuni temi. Tra questi, ricordiamo Henri De Lubac, Yves Congar, Marie-Dominique Chenu. Karl Rahner ebbe censure e divieti di pubblicazione dal 1951 al 1962, prima dell’inizio del Vaticano II, allorché gli fu notificato che i suoi scritti sarebbero andati in stampa solo dopo aver passato la censura romana. La riabilitazione conciliare di tali studiosi è «uno degli aspetti che più colpiscono del Vaticano II, nonché un’ulteriore indicazione del fatto che il Concilio intendesse modificare lo status quo».
Lo studioso Joseph Komonchak cerca di esaminare la questione della continuità/discontinuità del Concilio (dalla Tradizione) dal punto di vista dottrinale, teologico e storico sociologico. Dal punto di vista dottrinale c’è continuità, in quanto il Vaticano II non ha abbandonato alcun dogma e non ne ha definito di nuovi. Dal punto di visto storico-sociologico si può dire che il Concilio sia stato l’evento più importante nella storia della Chiesa del secolo XX, segnando una «svolta epocale».
Circa la polarità conciliare conservatori-progressisti, osserva O’Malley:
«Durante il Concilio, i media accusavano spesso i conservatori di oscurantismo, intransigenza, scarso senso della realtà, nonché di mettere in atto manovre sporche. Una cosa, sicuramente, si può dire in loro favore: vedevano, o almeno denunciavano più apertamente, la novità e le pesanti conseguenze di alcune decisioni conciliari, mentre i leader della maggioranza, viceversa, in genere cercavano di minimizzare la novità di alcune delle loro posizioni e insistevano che fossero, invece, in continuità con la tradizione. Ed è un’ironia che dopo il Vaticano II i conservatori abbiano cominciato a parlare di continuità del Concilio mentre i cosiddetti liberali ne sottolineavano la novità».
Interessanti i racconti di due giornalisti contemporanei al Vaticano II: p. Ralph Wiltgen SVD (1921-2007), ed Henri Fesquet.
Nel 1967 uscì la prima edizione del libro di Wiltgen, The Rhine flows into the Tiber. A History of Vatican II. Il suo libro reca l’imprimatur dell’allora Arcivescovo di New York, Mons. Terence Cooke (15-12-1966). Nella prefazione, Wiltgen spiega che per Reno egli intende il gruppo di Padri e periti conciliari appartenenti a quei Paesi in cui scorre il fiume Reno (Germania, Austria, Svizzera, Austria, Olanda) incluso il vicino Belgio. Tale gruppo – precisa Wiltgen – fu il più influente al Concilio Vaticano II («the most influential group»).
Henri Fesquet, ex novizio dei Missionari d’Africa, poi discepolo di Jean Guitton e di p. Yves Congar O.P., dal 1950 giornalista di Le Monde, racconta il Concilio con spirito laico e progressista che si può sintetizzare nei seguenti punti: 1) “complotti” e “lobbies” conciliari, para ed extra-conciliari; 2) minimalismo mariologico ed ecumenismo “del non-ritorno”; 3) cenni di biblicismo; 4) collegialità episcopale tra ortodossia ed episcopalismo-conciliarismo; 5) Vita Consacrata tra sacro e secolarismo; 6) apertura al mondo; 7) contraccezione; 8) un curioso Padre conciliare.
In seguito, il Card. Tisserant confidò a Jean Guitton che lui e sei porporati si riunirono prima dell’apertura del Concilio e decisero di bloccare la prima seduta conciliare rifiutando le regole stabilite da Giovanni XXIII.
I Padri “renani” riuscirono ad aver l’appoggio di molti africani anglofoni e francofoni nonché di altri Padri europei e statunitensi. Insomma la lista di Frings divenne internazionale, e poteva garantire in tutte le Commissioni conciliari la presenza della cosiddetta “Alleanza renana” o “europea”. Questa ottenne il 49% di tutti i seggi elettivi e il 50% della Commissione Teologica, la più importante.
La cosiddetta Alleanza renana-europea era appoggiata anche da Vescovi latino-americani, (rappresentati dal card. Raul Silva Henriquez di Santiago del Cile), nonché dai Superiori religiosi e dai vescovi missionari provenienti dai Paesi “renani”. Ovviamente il cardinal Frings era appoggiato da quei Vescovi delle terre di missione che ricevevano generosi finanziamenti attraverso due agenzie da lui fondate: Misereor e Adveniat.
I vescovi olandesi fecero distribuire ai Padri conciliari circa 1500 copie di un commentario anonimo di p. Schillebeckx che criticava in maniera devastante i quattro schemi dogmatici:
1) Le Fonti della Rivelazione, 2) La custodia del Deposito della Fede, 3) L’Ordine morale cristiano, 4) Castità, Matrimonio, Famiglia e Verginità.
Durante la prima sessione del Concilio il teologo svizzero P. Hans Küng (ben noto per il suo progressismo) si dichiarò soddisfatto del rigetto dello schema curiale su dogma ed ecumenismo e sulle fonti della rivelazione. Al Concilio, Mons. Sergio Mendez Arceo, il vescovo di Cuernavaca (Messico), si fecedifensore della Massoneria (auspicandone la riconciliazione con la Chiesa), degli Ebrei e della psicanalisi. Auspicò anche il riconoscimento delle comunità protestanti come chiese.
Personaggio influente al Concilio fu il gesuita p. Karl Rahner. Le sue idee sono rilevabili comparando le sue osservazioni ai tre schemi conciliari (su Rivelazione, B.V. Maria, Chiesa) con quelle sottoposte al Segretariato Generale del Concilio Rahner contestò lo schema mariologico dal punto di vista della teologia moderna e dell’ecumenismo. Rahner precisò che secondo un punto di vista teologico moderno, le dottrine di quello schema non possono divenire dogma. Ciò che Rahner attaccava di quello schema era, specialmente, la dottrina sulla mediazione della Beata Vergine Maria ed il titolo di Mediatrice di tutte le grazie. Eppure era una dottrina comune nella Chiesa, insegnata dal Magistero ordinario della Chiesa. Rahner riuscì a convincere i Padri riuniti a Fulda che lo schema non poteva esser accolto nella sua presente forma. Erano contrari al titolo mariano di “Madre della Chiesa” i Vescovi di lingua tedesca e dei Paesi scandinavi e Mons. Mendez Arceo.
Nell’intervallo tra la seconda e la terza sessione conciliare, il barone Yves Marsaudon, massone del 33° grado RSAA (Grande Loge de France), raccontò in un libro le sue speranze progressiste ed ecumeniche. Marsaudon lodò la maggioranza conciliare contro la minoranza curiale “integralista”… Marsaudon vede il Vaticano II come la rivoluzione dei Papi Roncalli e Montini che finalmente metterebbe fine alla Chiesa medievale… Marsaudon elogia la semplificazione della liturgia, l’uso liturgico del vernacolo, il divorzio, il minimismo mariologico, la collegialità episcopale (ma in senso antipapale), l’ecumenismo che unisce e supera dogmi e religioni, la libertà di pensiero che partita dalle logge massoniche si è estesa al di sopra della Basilica di San Pietro…
http://www.edizionisolfanelli.it/ilsessantotto.htm
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